Milano, 15 apr. (askanews) – Uno dei luoghi comuni più diffusi intorno all’arte contemporanea è che sia ‘difficile’, poco accessibile, talvolta esposta ai venti di un sarcasmo che è certamente qualunquista, ma che parte da una base di realtà. Come se il Sistema dell’arte avesse finito per parlare solo a se stesso, chiudendo fuori tutto il resto. Ma, in occasione del World Art Day, è importante sottolineare che anche questa lettura oggi non è così accurata: sempre di più il ragionamento sul pubblico del contemporaneo e sulla necessità di allargarlo è parte del dibattito e dell’impegno di molti protagonisti del sistema dell’arte.
A partire da un’istituzione simbolo come la Biennale di Venezia e dalla direttrice della prossima Esposizione d’arte, Cecilia Alemani. ‘Ho voluto poter solleticare la loro immaginazione – ha detto ad askanews – magari con un’opera più tradizionale che potrebbero vedere anche in un museo accanto a un grande installazione fatta di terra che forse non hanno mai visto. Mi piace pensare a opere d’arte che offrano tanti punti di entrata differenti: noi esperti, per esempio, ci leggiamo un riferimento alla storia del minimalismo, mentre una persona che esperta non è ci può leggere qualche altra cosa, oppure è stimolata a trovare spunti diversi. Secondo me le opere d’arte più efficaci sono quelle che aprono tante porte e non hanno un’etichetta che necessariamente ti spiega cosa devi capire dell’opera stessa’.
Il confronto con il grande pubblico e con le dinamiche del mainstream ha sempre attraversato la carriera di Francesco Vezzoli, uno dei pochi artisti italiani davvero noti a livello internazionale, che si confronta costantemente con la cultura più popolare. ‘Poche settimane fa – ci ha detto – uno scultore come KAWS, che l’élite dell’arte contemporanea ha sempre guardato dall’alto in basso, ha fatto il suo ingresso con una mostra praticamente retrospettiva alla Serpentine di Londra. I tempi stanno palesemente cambiando, che sia la rivoluzione digitale o che sia il mondo che si evolve, è chiaro che un certo tipo di attitudine popolare in un qualche modo deve essere accolta, e lo sarà, all’interno del dibattito anche più elitario, è inevitabile’.
Élite che spesso, e in modo del tutto anacronistico, storcono il naso di fronte al successo di pubblico, quasi fosse disdicevole. Ma un’istituzione culturale moderna non può non pensare all’allargamento del pubblico, da conseguire attraverso progetti di qualità che sappiamo parlare non solo agli specialisti.
Un’idea che Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi a Firenze, porta avanti da diversi anni. Attraverso un approccio inclusivo, che è anche quello didattico di Palazzo Strozzi, che vuole essere accessibile a tutti i pubblici, grazie anche al fatto di avere legato queste mostre di arte contemporanea importanti a temi d’attualità, che ci coinvolgono tutti – ci ha spiegato – siamo riusciti a portare un pubblico generalista, che prima non andava a vedere le mostre di arte contemporanea. Dati alla mano siamo riusciti a fare scoprire questo mondo a una fetta del nostro pubblico che oggi ritiene che Palazzo Strozzi li abbia aiutati a entrare nel mondo del contemporaneo. E per noi questo è molto importante, perché fa parte della nostra mission culturale’.
L’arte contemporanea, in fondo, è uno degli specchi con i quali si può provare a decodificare il nostro presente, che spesso ci appare inafferrabile. I suoi linguaggi, molteplici, parlano comunque di noi, del nostro modo di abitare un mondo complesso e delle possibilità di trovare, magari in maniere imprevedibili, delle risposte che riguardano esattamente la nostra vita.
(Leonardo Merlini)