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Milano, 25 gen. (askanews) – Bandiere rosse e pugno di ferro. Nel segno della repressione del dissenso il regime comunista in Vietnam inizia il suo XIII congresso con grande clamore per rinnovare i suoi leader e definire le principali direzioni del Paese per i prossimi cinque anni, sullo sfondo di una crescente repressione del dissenso e delle tensioni con Washington e Pechino.
Gli analisti puntano sulla continuità, a differenza dell’ultimo congresso del 2016, che ha visto scontrarsi la vecchia guardia e i riformatori. Nguyen Phu Trong, 76 anni, conservatore pro Pechino, potrebbe ricevere un terzo mandato come segretario generale del PCV e continuare la sua campagna anticorruzione che gli ha permesso di ripulire i ranghi del partito, dell’esercito e della polizia.
All’inizio di gennaio, tre giornalisti sono stati condannati da 11 a 15 anni di carcere per aver criticato il regime.
Le prospettive economiche saranno al centro dei dibattiti del Congresso. Il Vietnam ha registrato una crescita del 2,9% nel 2020, la più bassa degli ultimi due decenni, ma questa performance rimane molto solida a fronte di un’economia globale in piena recessione con la crisi del coronavirus. Quarantene di massa, tracciamento dei contatti su larga scala e rigoroso controllo dei movimenti hanno permesso al Vietnam di controllare la pandemia (meno di 1.600 casi e 35 morti registrati) e molto spesso di mantenere aperte le sue fabbriche.
Il paese ha anche tratto vantaggio dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e sta emergendo come importante hub tecnologico.
Restano da bilanciare i suoi rapporti con Pechino e Washington, in un contesto di tensioni con le due grandi potenze. Gli Stati Uniti hanno recentemente accusato il Vietnam di aver deliberatamente ricorso alla svalutazione della propria moneta, rispetto al dollaro per ottenere un vantaggio commerciale sleale. Gli Usa non hanno ancora emesso sanzioni: dovrà decidere l’amministrazione Joe Biden.