23 novembre 1980, ore 19:34. Una scossa di magnitudo 6.9 con epicentro tra Irpinia e Basilicata fa tremare la terra per novanta interminabili secondi.
Interi paesi crollano come fossero di cartapesta. Circa 2.900 persone perdono la vita, 9.000 rimangono ferite, 280.000 sfollate. Due regioni sono messe in ginocchio e lanciano una disperata chiamata ai soccorsi. “Fate presto – titolano i giornali – per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla”.
La provincia di Potenza viene devastata. In tantissimi si ritrovano in strada e per ridare loro una casa si costruisce il quartiere di Bucaletto. L’arcivescovo dell’epoca, Giuseppe Vairo, mette a disposizione un terreno su cui vengono piazzati centinaia di prefabbricati con un’aspettativa di vita di 25 anni. L’impegno è di sostituirli quanto prima con alloggi migliori.
Ebbene, questa “soluzione temporanea” rimane tuttora in piedi, almeno per la gran parte. E il rione che avrebbe dovuto essere il simbolo della rinascita post-sismica è abbandonato all’incuria, nell’indifferenza generale.
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