Tra documentazione e sogno: Palazzo Grassi e una Hypervenezia

di solobuonumore

Tra documentazione e sogno: Palazzo Grassi e una Hypervenezia

Venezia, 2 set. (askanews) – Un mistero, un’impossibilità e il suo esatto contrario. Venezia è una città inafferrabile e meravigliosamente assurda: il poeta Josif Brodskij la associava all’odore delle alghe e aveva capito che tutti noi, a Venezia, diventiamo incurabili. E su questa incurabilità la città ha costruito la sua storia ultra millenaria. A raccontarla, in modo solo apparentemente freddo e documentale, la mostra ‘HYPERVENEZIA’, nata dall’archivio di Mario Peliti, che segna il ritorno all’attività espositiva di Palazzo Grassi.

‘Siamo felici di riaprire Palazzo Grassi dopo mesi di chiusura per lavori – ha detto ad askanews Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana – e lo facciamo con una mostra che è un omaggio a Venezia, che ha deciso di celebrare i 1600 anni dalla sua fondazione’.

In mostra 400 scatti di Peliti, che ha mappato con il suo obiettivo la città nell’ambito del Venice Urban Photo Project, che continua a essere in divenire. Un progetto senza fine, elemento questo che già comincia, pur nell’apparente chiarezza delle immagini, a instillarci una sensazione di mistero.

‘C’è un vero effetto-sogno – ci ha raccontato il curatore Matthieu Humery – come se fossimo in un altro mondo che potrebbe esistere, ma solo in un sogno. La combinazione tra due elementi, questa luce unica, senza ombre, senza contrasto, e l’assenza di persone in tutte le fotografie, quindi in tutta la città, porta a perdere la cognizione del tempo: potrebbe essere ieri, un mese fa oppure 10 anni or sono. E poiché la città non cambia da secoli, si crea una strana percezione del luogo. Una impossibilità temporale’.

Eppure per Mario Peliti si tratta solo di documentazione, nel solco di una tradizione fotografica che affonda nel razionalismo ottocentesco. ‘Una fotografia come questa – ci ha spiegato l’autore – vive di sottrazione. Ho cercato di togliere al massimo, anche se non è mai possibile, l’idea di dover dare un’impronta personale alla fotografia fotografando qualsiasi luogo della città con la stessa dignità. Le zone popolari e piazza San Marco sono trattate esattamente alla stessa maniera’.

Eppure, nonostante questa equanimità, qualcosa succede ed è il fulcro del ragionamento curatoriale che ha ‘fa’ la mostra. ‘Hyper – ha aggiunto Matthieu Humery in riferimento al titolo dell’esposizione – è la realtà e la non realtà, e questa è una cosa molto veneziana. Tu guardi la città, la riconosci, sai dove sei. Ma al tempo stesso percepisci una impossibilità di essere all’interno di questa visione. Per questo ho proposto una visione attraverso tre elementi, che insieme danno vita a questa idea di iper’.

E i tre elementi sono la prospettiva della ‘Linea’, ossia lo sguardo di chi attraversa tutta Venezia a piedi, poi la visione aerea, la ‘Mappa’, rappresentata in una installazione che a volo d’uccello abbraccia tutta la città e infine il suono, una composizione di Nicolas Godin che accompagna una proiezione video di oltre tremila immagini di Peliti e si diffonde in tutta la mostra, creando una sensazione quasi subacquea, anche questa perfetta per calarsi nell’atmosfera della Laguna.

E per Palazzo Grassi ‘HYPERVENEZIA’ rappresenta, dopo avere ospitato tanti maestri della fotografia, anche una novità a livello di programmazione, dato che per Mario Peliti, architetto ed editore, si tratta della prima mostra come fotografo.

‘E’ un passo di lato rispetto alla solita programmazione – ha detto il direttore Racine – ma quando ho proposto a Francois Pinault questo progetto che non faceva parte della Collezione, non ha esitato un secondo, perché è molto attaccato a Venezia’.

E Venezia arriva, a volte occorre concentrarsi sulla sequenza di fotografie, ma la loro mole complessiva, la loro aderenza pura al luogo, a un certo punto fa scattare qualcosa, che possiamo solo chiamare ‘riconoscimento’. Della città, della sua imperfetta perfezione e magari anche di noi stessi, altrettanto imperfetti, provvisori, ma, chissà, forse unici.

(Leonardo Merlini)

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