Categorie: Cronaca

Tiziana Cantone: il caso sul web, il suicidio e le nostre negligenze

Tiziana Cantone: il caso sul web, il suicidio e le nostre negligenze.  Sulla morte di Tiziana Cantone, la donna che si è tolta la vita dopo la diffusione di alcuni video spinti, il procuratore capo di Napoli Nord, Francesco Greco, conferma: “Abbiamo aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio e presto acquisiremo anche l’ordinanza del giudice che si era pronunciato sul ricorso d’urgenza promosso dalla giovane per rimuovere quel materiale da tanti motori di ricerca “.

La Procura indaga e il web chiede giustizia e finalmente “l’oblio”. “Non l’avevo vista per tutto il giorno, non ho potuto fermarla”, si dispera ora la madre, nella villetta ai margini del paesone in provincia di Napoli, dove Tiziana viveva anche con una zia. Sua madre, la signora Maria Teresa, devastata dal dolore, agli investigatori ha rivelato un ulteriore motivo di turbamento della figlia: anche se aveva ottenuto una sentenza favorevole del tribunale sul diritto all’oblio (alcune società come Facebook e Sem srl erano stati condannate a rimuovere i video hot ma personali in cui era ritratta Tiziana) , la donna, considerata consenziente, era comunque stata condannata a pagare 20mila euro di spese legali.

Nello stesso dispositivo, tuttavia, il giudice Monica Marrazzo condannava innanzitutto le sue controparti – Facebook, Sem Srl , Alaimo Ernesto, Ambrosino Pasquale, RG Produzioni srl – a versare oltre 21 mila euro complessivi in favore di Tiziana.

Due cifre che, nella sostanza, si sarebbero compensate, ma che comunque spettavano a soggetti diversi. E quindi vi sarebbe stato bisogno di ulteriore e complessa assitenza legale. Un ulteriore problema che gravava sulla vita di una ragazza segnata dalla gogna pubblica.

La storia di Tiziana Cantone aveva fatto il giro del web, una sua ingenuità era diventata un incubo, finito in tragedia e purtroppo, questa, tutt’altro che virtuale. La ragazza, della provincia di Napoli, figlia del gestore di un bar, aveva perso il lavoro, non poteva più mostrarsi in pubblico, dopo che alcuni suoi “amici” avevano diffuso via internet e sugli smartphone alcuni video spinti.

Tiziana Cantone, messa alla gogna mediatica, aveva cambiato città e nome e aveva fatto causa a chi la perseguitava sui social, vincendo e ottenendo la rimozione del profilo di chi la insultava. Ma non è bastato. E alla fine, ieri, si è uccisa. E ora l’indagine non è più per violazione alla privacy o per il diritto all’oblio, ma per istigazione al suicidio.

Un’amica di famiglia : “Ha dimostrato la sua fragilità da sola. Non è mai stata abbandonata, era una ragazza dolcissima, non è facile superare”. Neppure con una sentenza a favore? “Non sono bastati i click dati in modo sbagliato”

Oggi è il tempo della riflessione. “Tiziana si è tolta la vita. Almeno adesso merita oblio e silenzio. Non continuate a mostrare il video”. La Rete piange la ragazza che si è tolta la vita. Dolore e sensi di colpa viaggiano sui social network dietro un hashtag o un link. Quasi a voler cancellare la superficialità con cui un video privato è stato trasformato in un fenomeno virale, con oltre 100 mila pagine dedicate a quella frase pronunciata da Tiziana in un momento che credeva intimo: “Stai facendo il video? Bravo”.

Non siamo tutti colpevoli ma siamo tutti sconfitti” scrive Antonio su Twitter. “Non conoscevo la storia di Tiziana, è terribile – commenta Andrea – ma è ancora più terribile sapere che ci sono uomini che usano video privati per dimostrare quanto fanno schifo”.

L’accusa è rivolta ai ragazzi che per primi hanno diffuso le immagini sui social network, dando il via un vortice infernale che ha distrutto la vita di Tiziana. “C’è ancora chi ha il coraggio di fare battute sulla morte di Tiziana, vergognatevi” denuncia Michele mentre altri ricordano la vicenda della ragazza di 13 anni violentata dal branco a Melito Porto Salvo: ” Avanti, ora dite che anche Tiziana se l’e’ cercata”.

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della società virtuale e ad alcuni utenti sembra irreale: “Sarebbe bello se Tiziana avesse inscenato la sua morte per ricostruirsi una vita. Ma non è così”.

E sul caso interviene anche il garante della Privacy, Antonello Soro: “Bisogna far crescere il rispetto delle persone in rete”.

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