Alì Kunduru ha 46 anni e gestisce un piccolo locale di kebab a Rivoli, in provincia di Torino. È arrivato in Italia nel 2010 come rifugiato politico ed è originario di Pazarcik, che si trova vicino all’epicentro del violento terremoto che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio ha colpito Turchia e Siria. Ora il bilancio è salito a più di 10mila morti e tra questi ci sono anche i parenti della famiglia di Alì Kunduru. “Da parte di mio papà ho perso 42 parenti e quasi 20 sono ancora sotto le macerie. Pensarci fa troppo male – racconta -. Per fortuna i parenti di primo grado stanno bene, ma dormono per strada, perché la casa non è più stabile per entrarci”. Il termometro segna 5 gradi sotto zero e le notizie che giungono in Italia alla famiglia Kunduru sono tutt’altro che confortanti. Molti dei loro parenti sono sfollati, senza casa, e sono costretti a dormire all’addiaccio, perché spesso non ci sono strutture pronte ad accoglierli. E mentre fanno i conti con le interruzioni di luce e gas, scarseggiano anche i beni di prima necessità: “Lì non c’è luce, non c’è gas, non c’è pane e non c’è acqua. Per il momento dormono con -5 gradi, perché non c’è un posto dove fanno accoglienza – continua -. Io ho già parlato con mio fratello. Lui mi ha detto che sono fuori e non hanno un posto dove dormire e non hanno pane e acqua, ma mi ha detto che sta andando ad aiutare la protezione civile, perché c’è gente che sta peggio di loro. Anche loro danno qualcosa per aiutare le altre persone e questo mi fa tanto piacere”.
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