Roma, 2 ago. (askanews) – "Pensavo fosse un grande amore. E invece era solo un uovo". Silvio Orlando, che ha ricevuto a Giffoni il prestigioso premio Truffaut, chiude con queste battute l’assaggio di uno splendido monologo che ha voluto regalare al pubblico di IMPACT! "È il trailer – ha annunciato l’attore italiano – di uno spettacolo che spero di portare a teatro in autunno, ‘La vita davanti a sé’ di Romain Gary. La storia parla di un orfano che ha tutta la vita davanti e di questo è fortemente angosciato".
Non è l’unico progetto all’orizzonte. In cantiere l’uscita di due film: "Il bambino nascosto" di Roberto Andò e "Ariaferma" di Leonardo Di Costanzo. "C’è un filo rosso che lega queste due produzioni, perché entrambe, per motivi differenti, si interrogano su come spezzare una catena di violenza", ha spiegato.
Tante le domande dei giovani "giffoner", in particolare sul mestiere dell’attore: "Credo che sia un lavoro fortemente politico – ha raccontato – perché ognuno di noi, prima di essere un artista sul set è un cittadino. È un mestiere pieno di responsabilità. Non a caso Peter Brook sosteneva che il teatro può essere utile, inutile o dannoso".
La sua carriera è nata proprio con il teatro ("è qui che capisci chi sei e chi diventerai, perché mentre al cinema devi dare solo risposte, a teatro puoi farti delle domande") quando, più o meno nella post adolescenza, aveva ormai accantonato l’idea di diventare musicista.
"Ero uno di voi alla ricerca di se stesso – ha svelato ai giovani seduti in sala Blu – Un giorno fui quasi costretto a salire su un palcoscenico e sentii uno strano rumore di sottofondo. Erano risate. Fu allora che capii che potevo trovare il mio posto del mondo".
La prima vera occasione arriva a Milano, dopo l’incontro con Gabriele Salvatores e uno spettacolo scritto da Gino e Michele che colpì Nanni Moretti. "Nanni mi chiamò per ‘Palombella rossa’ e per me fu uno choc: era un mito, perché il suo cinema parlava della mia generazione. Poi, sempre grazie a lui che ne curava la produzione, è stata la volta de ‘Il portaborse’ con Daniele Luchetti e da lì è iniziata in maniera del tutto inaspettata la mia carriera cinematografica. Diciamo che è stata una grande eresia quella di mettermi un film sulle spalle, ma è stato grazie a queste esperienze che ho capito che si poteva avere l’ambizione di raccontare, attraverso il cinema, un periodo storico".
Orlando ha poi confidato ai ragazzi di aver lottato per anni con la sua insicurezza e le sue fragilità: "Prima non riuscivo a parlarne, era quasi un tabù. Poi, piano piano, sono riuscito ad esorcizzare le mie fratture, che credo fossero legate in particolare alla morte di mia madre, scomparsa quando avevo solo nove anni, dopo tre di sofferenze in cui giorno dopo giorno ho visto il suo corpo decomporsi. Questa cosa poteva avere esiti catastrofici, invece mi ha rinforzato e mi ha fatto capire che potevo esorcizzarla regalando un sorriso alle persone. Forse è un sorriso in cui metto una traccia di quella malinconia, ma alla fine sono sempre stato convinto del fatto che l’essere umano è in fondo portatore sia di ferite che di poesia".
Ma quale è l’idea di felicità di Silvio Orlando, cinema a parte? "Tornare alla normalità, togliere le mascherine e riprendere a contagiarci di entusiasmo. Il virus ci ha dato una grande lezione, nulla è scontato, neppure la libertà. Prima del Covid avevamo il mito del controllo. Poi il mondo ci è sfuggito di mano ed è il caso di riflettere sull’opportunità di fare un passo indietro".
Un dato da non trascurare è il rapporto con l’altro: "Siamo abituati a vederlo come una minaccia, ma fin quando non capiremo che invece è una opportunità non andremo da nessuna parte". Orlando non ha poi nascosto l’emozione di trovarsi in una Giffoni e in un festival che ha cambiato pelle: "Di Giffoni non parla mai male nessuno, lunga vita al festival e speriamo che duri per sempre. Sono emozionato. L’ultima volta che sono venuto qui era il 1995 ed è cambiato tutto. Nella prossima vita voglio essere Claudio Gubitosi".
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