Il termometro segna diversi gradi sopra allo zero e il metro di neve caduto pochi giorni prima si scioglie a vista d’occhio. Oltre i 2000 metri sembra tutto normale, se non fosse per le temperature elevate e i rubinetti asciutti. Massimo Manavella ha 54 anni ed è il gestore del rifugio “Selleries” a Roure, in provincia di Torino. Una situazione simile non l’aveva mai vissuta in quasi 18 anni di gestione. La siccità colpisce anche le zone montane e lo fa duramente: da diverso tempo il rifugio gestito da Manavella fa i conti con la poca disponibilità di acqua, fino a quando, circa un mese fa, ha dovuto chiudere temporaneamente. “Ci troviamo in questa situazione, perché sono due anni che non vediamo una precipitazione seria – racconta Manavella – Anche la neve molto bella che abbiamo adesso qua fuori, che è frutto di questi tre o quattro giorni di nevicata appena passata, è una cosa minima, nel senso che sono un’ottantina di centimetri di neve con quattro giorni di nevicate, che non è granché”. Ma oltre a un forte deficit nivometrico, si pagano anche le scarse piogge primaverili dell’anno scorso e quelle autunnali. “Noi abbiamo la fortuna di avere una serie sorgenti sotterranee. Gli stessi laghi in alto non sono alimentati da ghiacciai, ma sorgenti sotterranee, ma non piovendo queste sorgenti non vengono alimentate e quindi diminuisce sempre di più la disponibilità. Noi in questo momento siamo a terra, come acqua, e per noi essere quasi a zero significa da una parte non avere l’acqua potabile e dall’altra avere pochissima luce, perché con l’acqua produciamo corrente elettrica”.
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