La storia di Andrea inizia con una videochiamata erotica, “poi la ragazza oscura la cam e mi minaccia di pubblicare le foto intime che ha scattato”. Partono quasi sempre così le storie di sextortion, i truffatori che per ottenere denaro o favori sessuali minacciano di pubblicare materiale intimo della vittima ottenuto con l’inganno e senza il suo consenso. Il reato di estorsione sessuale dopo la pandemia è aumentato, nel 2022 sono stati 132 i minori vittime in Italia, nei primi 3 mesi del 2023 i bambini adescati con meno di 13 anni sono stati 53, 34 invece i ragazzi tra i 14 e i 16 anni. Eppure sextortion è ancora una parola che viene confusa, usata male.
Non solo, sono pochissime le vittime che denunciano, perché hanno paura di essere giudicate. Così preferiscono pagare, non dire nulla, stanno al gioco del carnefice che dopo il primo bonifico rilancia e chiede più soldi, più foto, più favori sessuali. Non esiste nemmeno una legge per il sextortion, i casi vengono valutati facendo un collage di altri reati, viene per esempio applicato l’articolo 612-ter del Codice Penale del 2019, pensato per il revenge porn, che però non tiene in considerazione diverse caratteristiche intrinseche del sextortion. Al momento manca una disciplina e una cultura per circoscrivere il fenomeno.
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