Aveva 10 anni quando durante una giornata passata tra i boschi, il suo babbo Carlo gli diede un piccolo ramo di quercia: “Prendilo – gli disse – e piantalo”. Il giovane Lucio, come lo chiama ancora sua mamma Ilva, lo piantò davanti casa, prendendosene cura ogni giorno. 50 anni dopo quel ramoscello è diventato “un palazzo” – come lo chiama oggi – che domina nel giardino di famiglia. Quel ramoscello è un po’ la sintesi della vita e della carriera di Luciano Spalletti: nessuno ti regala nulla, ma con il lavoro quotidiano, il tempo e la pazienza, prima o poi la felicità arriva. Dall’inizio alla fine Luciano ha seminato la filosofia del lavoro duro. Un mantra che Spalletti avrà ripetuto chissà quante volte ai suoi calciatori, e che forse si sarà appuntato da qualche parte in uno dei suoi tantissimi quaderni, quelli che custodisce gelosamente nel suo armadietto a Castel Volturno. Su quei fogli Spalletti ha annotato non solo i suoi recenti anni napoletani, ma concetti di gioco, riflessioni, emozioni e storie di una carriera lunga 30 anni: da Empoli a Udine, da Totti a Icardi, dagli scudetti con lo Zenit al “miracolo” napoletano.
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