A 12 anni è fuggita dal suo Paese dopo che suo padre fu ucciso dai talebani. Oggi parla 11 lingue e oltre ad avere un futuro da medico, nel 2018 è stata inserita da Forbes tra le sportive più influenti al mondo. Questa è la storia di Nadia Nadim, stella della nazionale danese di calcio femminile e ambasciatrice ONU, un’icona per il suo impegno nella promozione dell’uguaglianza tra i sessi. Nata ad Herat, nel nord-ovest dell’Afghanistan, suo padre, Rabani Khan, era un generale dell’esercito nazionale. Quando, negli anni ’90, i talebani conquistarono Kabul e si insediarono nel Paese, lui, sua moglie Hamida e le loro cinque figlie cominciarono a ricevere minacce di morte e si trasferirono in un complesso residenziale dove nessuno poteva entrare o uscire senza controllo. Nadia tirò i primi calci al pallone proprio in quella gabbia dorata, grazie alle lezioni di suo padre. Un giorno però Rabani fu catturato e non fece mai più ritorno a casa. Era il 2000 e quella tragedia significava solo una cosa: in Afghanistan la sua famiglia era in pericolo. Dopo aver venduto tutti i loro beni ed essere riuscite a procurarsi dei documenti falsi, Hamida e le sue figlie abbandonarono tutto nella speranza di raggiungere Londra, dove le aspettavano alcuni parenti, ma qualcosa non andò come previsto. Al termine di un lungo viaggio con tappe in Pakistan e in Italia, giunsero in una cittadina immersa nel verde, chiesero a un passante dove erano finite e scoprirono di essere a Randers, in Danimarca. I mesi successivi li passarono in un centro di accoglienza, finché non ottennero il permesso di soggiorno, che consentì loro di iniziare una seconda vita, anche se le difficoltà non erano finite. Per avere cibo in tavola, Hamida faceva tre lavori e le figlie la aiutavano consegnando i giornali. La svolta arrivò soltanto quando Nadia, che nel frattempo aveva continuato a coltivare il suo talento, a 17 ottenne il primo contratto, debuttando nel B52 di Aalborg. Da quel giorno la sua ascesa non si è mai arrestata, a partire dall’esordio in Champions con il Fortuna Hjørring, fino alla convocazione in nazionale, che per averla chiese alla FIFA uno strappo alla regola, visto che, una volta maggiorenne, non aveva ancora raggiunto i 5 anni di residenza necessari. Dopo aver militato nel Manchester City e poi nel prestigioso PSG, ora Nadia gioca in America, con la maglia del Racing Luisville, e sta per laurearsi, perché una volta appese le scarpette al chiodo, spera di unirsi a Medici Senza Frontiere, per fare del bene a tutti coloro che a differenza sua, non sono potuti scappare dalla violenza.
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