Milano 14 set. (askanews) – Guardare alla malattia mentale da una prospettiva diversa, per superare vecchi schemi e pregiudizi. È questo uno degli impegni che anche l’azienda farmaceutica Lundbeck si è posta da tempo e su cui continua a lavorare.
"Lundbeck Italia – ha detto ad askanews l’amministratore delegato Tiziana Mele – è impegnata da sempre nel ricercare soluzioni terapeutiche che possano fare la differenza per i pazienti che soffrono di malattie o disturbi che afferiscono alla sfera del cervello. Non è un tema facile da affrontare, perché molto spesso è circondato da stigma e pregiudizi!".
Per fronteggiare questi retaggi Lundbeck ha intrapreso diverse iniziative. "Con People in Mind, il contest che abbiamo lanciato nel 2019 – ha aggiunto Mele – vogliamo raccontare che cosa vuol dire avere al centro la salute del cervello delle persone, ma anche dei loro caregiver. Con l’iniziativa CEOforLIFE, la salute parte dal cervello, vogliamo entrare nelle aziende e raccontare
quelle che sono le best practice a livello di aziende per mettere al centro la salute dei propri dipendenti, consapevoli che questo ha un impatto anche sull’attività aziendale".
Per accelerare sul tema della sensibilizzazione l’azienda ha prodotto un corto che è stato proiettato anche alla Mostra del cinema di Venezia e poi, in vista della Giornata mondiale della salute mentale, in programma il 10 ottobre, ha diffuso i dati di una ricerca realizzata da Laboratorio Adolescenza insieme a
Istituto IARD, che mette in luce le molte situazioni che mettono a rischio la salute mentale dei più giovani, soprattutto dopo la pandemia.
"Prima della pandemia – ci ha spiegato Stefano Vicari, professore ordinario di Neuropsichiatria infantile – i disturbi d’ansia impattavano in circa il 10% dei ragazzi, adolescenti e pre adolescenti, e la depressione intorno al 12-13%. Dopo il periodo Covid le percentuali sono esattamente raddoppiate: il 20% dei ragazzi presenta un disturbo d’ansia e circa il 25% presenta un disturbo di tipo depressivo. Questo dato è importante perché la depressione è legata ad alcuni comportamenti a rischio che sono aumentati notevolmente in quest’ultimo periodo".
In particolare lo studio sottolinea che aumentano i casi di autolesionismo e i tentativi di suicidio, in un contesto sociale che continua a voler rimuovere la malattia mentale dal discorso pubblico. "I termini che noi usiamo – ha aggiunto il professore – dicono molto della percezione che abbiamo dei fenomeni a cui ci riferiamo. La malattia mentale fa paura per diversi motivi, il
primo è che viene attribuita una sorta di responsabilità individuale a chi si ammala mentalmente. Pensate poi quando ci riferiamo ai minori: se mia figlia è anoressica, io sono stato un cattivo padre, questa è l’equivalenza che sento spesso fare daigenitori che incontro, quindi c’è un tema di giudizio sociale".
Aspetto questo che tutti gli attori della cura dei disturbi del cervello si impegnano a superare. "Io dico sempre – ha concluso Stefano Vicari – che dovremmo parlare delle malattie mentali, dovremmo raccontarle, farle conoscere. Ma trattarle anche come trattiamo il diabete: ossia come qualunque altra malattia".
Il professore usa l’espressione "normalizzare la malattia mentale" per indicare l’uscita da una percezione di eccezionalità e l’ingresso in uno spazio di consapevolezza scientifica e clinica che corrisponde anche a quanto auspicato da Lundbeck.
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