Una scritta a terra recita: «Si prega di entrare una persona alla volta. Aprire la porta con cautela» e lì avanti sorge una struttura in vetro a specchio bidirezionale, wc in acciaio, cemento, alluminio e luci fluorescenti, alta due metri e mezzo, lunga 226 e profonda 185 centimetri. È «Don’t Miss a Sec», opera concettuale del 2004 dell’artista Monica Bonvicini, progettata per essere utilizzata come un vero bagno, perfettamente funzionante. Da fuori non si vede nulla, anzi tutto: è uno specchio. Dentro è invece una finestra nascosta sul mondo. Mentre si è in completa privacy si vede da ogni parete del cubo di vetro lo spazio circostante. Dopo molte città europee, come Londra, Rotterdam e Basilea, il suo lavoro più celebre è adesso a Roma, in piazza Alighiero Boetti, nello slargo esterno del museo Maxxi, al Flaminio. Il progetto di Monica Bonvicini, dialogando perfettamente con lo stile architettonico del museo disegnato da Zaha Hadid, attira la curiosità di molti visitatori che fanno la fila per entrare, utilizzarlo ed uscire.Merito, anche probabilmente, dell’ultimo film di Wim Wenders, Perfect Days, che ha riscosso notevole successo anche in Italia, in cui il protagonista Hirayama pulisce con devota precisione i favolosi e futuristici bagni di Tokyo. Anche qui ad intervalli regolari c’è un addetto che pulisce l’opera dai non sempre educati comportamenti dei visitatori, meno avvezzi al senso civico nipponico. Dopo il suo lavoro il bagno torna a spendere. Un bagno speciale che vuole stimolare una riflessione sul confine tra pubblico e privato che, dal 2004 a oggi, è drasticamente cambiato nella società. Già nota per le sue esplorazioni sulle dinamiche di potere, genere e spazio, Monica Bonvicini gioca qui sull’idea della fomo (acronimo di fear of missing out, la paura di restare fuori, di essere esclusi), e porta avanti il suo dialogo concettuale con quest’opera di vetro che provoca, esorta e permette al visitatore di non perdere neanche un istante della propria vita. (Edoardo Iacolucci)
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