La storia di una famiglia afghana scappata un anno fa dall’Afghanistan e che oggi vive a Roma. Kamila, 13 anni: «Mi sento libera». Ma il percorso di integrazione è ancora lontano
Sull’armadio della cameretta di Kamila, 13 anni, ci sono le lettere dei compagni di classe. «Mi sono affezionata tanto e per me tu sei una delle mie migliori amiche anche se ci siamo conosciute da poco». Ci sono cuori colorati e arcobaleni, ci sono bambini stilizzati e frasi che si concludono con tre lettere: Tvb. Kamila guarda quei fogli ed è felice, felice che qui in Italia può andare a scuola. Ed è proprio nelle scuole italiane che ha imparato la nostra lingua. E nella nostra lingua dice: «A Kabul ho lasciato la mia famiglia, i miei nonni, i miei amici, il mio gatto che mi manca molto, i miei giocattoli, la mia casa grande. Però qui comincio a tornare felice, perché posso andare a scuola, mentre in Afghanistan le bambine come me non possono più andare a scuola, mi sento libera e in classe disegno cavalli, pappagalli e farfalle».
Kamila (nome di fantasia) è la più piccola delle cinque figlie della famiglia K., arrivata dall’Afghanistan alla fine dello scorso agosto, esattamente un anno fa. Il padre Hassan ha lavorato per 18 anni al servizio del ministero degli Esteri italiano a Kabul, come coordinatore dei progetti di cooperazione tra Italia e Afghanistan. Era il supervisore di numerosi progetti urbanistici, rurali, sociali. Il 15 agosto dell’anno scorso, quando i talebani conquistarono Kabul, prese sua moglie e le sue cinque figlie e si precipitò all’aeroporto. Destinazione Italia, un’evacuazione organizzata dalle nostre istituzioni per mettere in salvo più persone possibile.
Furono giorni convulsi di viaggio, l’assedio all’aeroporto di Kabul, le scene strazianti, il terrore negli occhi delle bambine. «Abbiamo raggiunto l’aeroporto al terzo tentativo, era mezzanotte, siamo rimasti bloccati fino alle 10 della mattina successiva, poi siamo partiti. Dopo uno scalo e 23 ore di viaggio, siamo arrivati a Fiumicino». Dall’aeroporto di Roma, un pullman militare li ha trasferiti a Montecatini Terme, in provincia di Pistoia, ospiti di un albergo messo a disposizione dalla Protezione civile. Dopo due settimane di quarantena nell’albergo toscano, il trasferimento a Gracciano, in provincia di Siena, in una struttura della Misericordia di Chiusi. Sei mesi dopo, un altro trasferimento a Roma.
Oggi è passato un anno. Hassan (anche il suo nome è di fantasia) e la sua famiglia sono ancora in Italia, la strada verso l’integrazione è lunga: «Non ho imparato l’italiano perché ho ricevuto poche lezioni, non ho un vero lavoro e non posso mantenere le mie figlie, in famiglia mangiamo solo verdure per risparmiare. Niente carne né pesce. Abbiamo ottenuto il permesso di soggiorno ma non abbiamo la carta d’identità e quindi non posso aprire un conto in… ( Jacopo Storni / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/esteri/qui-roma-posso-andare-scuola-mie-amiche-kabul-no-talebani-hanno-distrutto-nostro-sogno/9a7c123e-247b-11ed-9477-8142972fc587
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