Al visitatore che arriva da lontano lei dà il benvenuto con le sue case colorate, strette in un unico abbraccio; Procida e le sue anime, uno scrigno di segreti custoditi dai marinai che ancora la abitano.
Tra le tante località che partivano favorite, proprio quest’isola di circa 10mila abitanti , dove la vita scorre lenta e ci si addormenta cullati dal rumore del mare, è stata proclamata Città della Cultura 2022, e noi vogliamo provare a spiegarvi il motivo.
Dista a soli 40 minuti di aliscafo dal centro di Napoli, ma dalla grande metropoli si distingue quasi in tutto.
Completamente di origine vulcanica, nata dalle eruzioni di almeno quattro diversi vulcani ormai spenti, il suo centro abitato tradizionalmente si divide in nove contrade, dette grancìe: Sent’cò con il porto commerciale di Marina Grande, Chiaiolella, il porto turistico nella parte meridionale, San Leonardo, Santissima Annunziata, anche detta Madonna della Libera, Sant’Antuono, Sant’Antonio e poi naturalmente c’è Terra Murata, la zona più antica, e Corricella, il caratteristico borgo di pescatori, dove tutti gli anni l’Università di Tokyo viene a studiare la sua architettura popolare; ingressi piccolissimi, scale comuni e abitazioni addossate per riscaldarsi. In epoca romana il suo nome era Prochyta, e qui i ricchi patrizi venivano a villeggiare, trovando già allora, tra le sue fronde selvatiche, un luogo tranquillo e solitario.
La storia dell’isola si intreccia in maniera indissolubile con il mare che la circonda; a partire dal Medioevo, più volte fu oggetto delle incursioni dei pirati, tra cui si ricorda quella del mitico corsaro Barbarossa nel 1534.
Era agosto quando i bucanieri saccheggiarono ogni cosa, riducendo molti abitanti in schiavitù; secondo la leggenda, quando la stessa ciurma tornò dieci anni dopo, stavolta l’Arcangelo Michele mise in fuga gli invasori scatenando una tempesta di fulmini e saette.
A San Michele, patrono di Procida, è intitolata un’antica abbazia in Terra Murata, il punto più alto dell’isola, dove sorge anche il Palazzo D’Avalos, l’ex Carcere Borbonico situato nella cittadella, costruito nel ‘500 insieme alle mura dalla famiglia D’Avalos, governatori dell’isola fino al ‘700.
Oggi quel simbolo di detenzione si è trasformato in un luogo di produzione culturale, nel rispetto del tempo che sembra essersi fermato, tra giornali e scarpe impolverate, abbandonati dagli ultimi reclusi.
Dopo l’Unità d’Italia, l’isola fu soprannominata capitale nei traffici marittimi e anche se da allora non ha mai tradito la sua natura, come fucina di marinai e pescatori, ha saputo anche accogliere una generazione di teatranti, colti e creativi, come Elsa Morante che nel 1955 ambientò qui il suo romanzo, Premio Strega: “L’isola di Arturo” o Massimo Troisi, che girò sulla spiaggia del Pozzo Vecchio le ultime scene del suo ultimo film: “Il Postino”.
La scelta di Procida in tempi di pandemia non è un caso, anzi è un messaggio ben preciso: a vincere è un’idea di cultura che non isola mai, capace di abbattere la barriere.
Procida è anche un tributo alle isole del Mediterraneo, che fanno parte delle ricchezze del nostro Paese, dove l’ambiente è una risorsa da preservare, e la memoria è tutt’altro che un peso; ma è soprattutto un gioiello che resiste al glamour e al turismo sfrenato, per questo forse, tra i suoi vicoli e i dislivelli, è così facile sentirsi a casa.
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