ROMA (ITALPRESS) – L’assistenza alle cronicità ha bisogno di multifattorialità, aderenza alle cure, ma secondo il tipo di terapia prescritta che deve essere sempre appropriata e basata su linee guida aggiornate perchè altrimenti si disincentiva il paziente dal seguirla. E questo si raggiunge con l’implementazione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) che vanno personalizzati e che siano attenti alle fragilità sociali e familiari, con monitoraggi reali e continui della loro effettiva implementazione e degli esiti di salute prodotti, avvalendosi anche degli strumenti di telemedicina e teleassistenza: i pazienti cronici hanno assoluto bisogno di essere seguiti a domicilio.
Non hanno dubbi sui percorsi e sulle necessità di cura e assistenza delle cronicità, Valeria Corazza, presidente APIAFCO, l’associazione delle persone con psoriasi e Alessia Amore, vice direttore di AMICI Italia, l’Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, che all’incontro promosso da Salutequità sul PNRR e il Piano nazionale Cronicità, hanno messo sul tavolo del dibattito con istituzioni e ordini professionali le istanze reali dei cittadini pazienti chiedendo l’aggiornamento del Piano Nazionale della Cronicità e registri di patologia per la stratificazione.
“Le condizioni di assistenza che la pandemia ha creato – ha sottolineato in premessa Tonino Aceti, presidente di Salutequità – sono allarmanti: l’11% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche o esami diagnostici nel 2021 ha dichiarato di aver rinunciato per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio. La rinuncia alle cure colpisce di più chi vive in un comune centro di area metropolitana: si è passati dal 7,3% del 2019 al 12,8% nel 2021. I problemi di accesso si acuiscono con l’età e colpiscono più massicciamente le persone anziane: si passa dal 14,6% dei 55-59enni che hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare a visite o esami necessari al 17,8% nella fascia di età delle persone con più di 74 anni”.
“Anche l’OCSE nel suo rapporto annuale 2022 appena presentato – ha aggiunto Aceti – nella panoramica sugli effetti della pandemia ha denunciato l’abbandono delle cure. Ad esempio, quasi un giovane su due non ha avuto accesso all’assistenza per la salute mentale e sono rimasti in stand by l’11,5% in media OCSE degli interventi per cancro. A peggiorare anche la perdita di aspettativa di vita: l’OCSE afferma che la pandemia ha provocato in molti paesi una riduzione senza precedenti dell’aspettativa di vita nel 2020 e nel 2021, cancellando i guadagni rispetto addirittura al decennio precedente”.
Dagli Ordini professionali risposte e bisogni parlano una lingua pressochè comune.
Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale degli Assistenti sociali, ha sottolineato la necessità di un “nuovo linguaggio” che non parli più solo di bisogni sanitari, ma li affianchi sempre a quelli sociali, per i quali vanno formati operatori in numero e in grado dal punto di vista qualitativo di sostenerli, ma soprattutto vanno riconosciuti per rendere attrattiva una professione che altrimenti si confonde, senza alcun effetto positivo sugli assistiti, in mille rivoli e mille definizioni, quando deve essere chiaro che chi ha una necessità a livello sanitario, soprattutto nelle cronicità, ne ha altrettanto a livello sociale. E non solo il paziente, ma anche la famiglia caregiver e per questo tutti devono essere assistiti anche da questo punto di vista da professionisti formati e di qualità.
Basta con le semplificazioni, ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli infermieri: l’assistenza non può essere un momento di “passaggio” per il paziente, ma è fondamentale e per questo devono essere previsti precisi esiti territoriali così come oggi sono analizzati quelli delle cure ospedaliere e devono esserci specialisti ad hoc sul territorio. In questo senso Mangiacavalli, ha sottolineato che negli ultimi anni si è investito molto poco sul personale sanitario e soprattutto sugli infermieri, in termini di sviluppo e valorizzazione di competenze specialistiche. Ora, ha detto, dopo 20 anni di cura dimagrante e spending review, occorre cambiare passo per rispondere ai bisogni di salute complessi. La presidente FNOPI ha denunciato un “appiattimento organizzativo, formativo e contrattuale” della professione infermieristica per la quale è indispensabile un cambio di rotta con un’evoluzione che consenta di formare infermieri specialisti, riconoscerne il ruolo giuridico ed economico. Senza questi presupposti, ha concluso, non può esserci una risposta appropriata ai bisogni di salute complessi e non ci può essere realmente un sistema salute degno di questo nome.
La pandemia avrebbe dovuto insegnare molte cose secondo Alessandro Beux e Francesco Della Gatta, consiglieri nazionali della Federazione nazionale dei tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Alcune importanti. Tra queste, la prima è la valorizzazione, non solo economica, delle professioni sanitarie. Ma finora le professioni sanitarie, non solo non sono state adeguatamente valorizzate economicamente, aggiungono i consiglieri della Federazione delle 19 professioni sanitarie, ma non lo sono state nemmeno per quanto riguarda l’adozione di modalità organizzative del lavoro moderne, in grado di massimizzare l’efficacia delle loro competenze, con maggiore responsabilità per farsi carico direttamente e in modo completo di funzioni e attività, ovviamente all’interno della imprescindibile interprofessionalità.
“Il recupero delle cure mancate, l’abbattimento delle liste di attesta, il rilancio del Piano nazionale della cronicità – ha detto Aceti – sono imprescindibili e in questo senso non solo abbiamo fornito tutti i dati per dimostrarlo, ma abbiamo anche consegnato al Parlamento diverse proposte di emendamenti alla Legge di Bilancio volte a garantire finanziamenti specifici per l’abbattimento delle liste di attesa, con la specificazione degli obiettivi da raggiungere, dei modelli organizzativi prescelti, dei tempi di realizzazione, di un dettagliato cronoprogramma e della destinazione delle risorse e il monitoraggio dell’attuazione come condizione per l’assegnazione delle risorse e anche un finanziamento ad hoc per l’aggiornamento, l’attuazione e il monitoraggio del Piano Nazionale della Cronicità nelle Regioni. I cittadini e gli oltre 24 milioni di cronici non possono più essere lasciati indietro e la politica e le sue esigenze deve lasciare il passo alla qualità dei servizi, alla misurazione degli esiti di salute prodotti dal territorio e al buon senso. Consideriamo inoltre ineludibile lavorare ad un Piano straordinario per il capitale umano del SSN, in grado di definire strategie e investimenti di breve, medio e lungo periodo volti ad affrontare in modo strutturale il problema delle carenze di organico, della mancata valorizzazione economica e professionale, della sicurezza, del benessere organizzativo e della scarsa attrattività delle professioni sanitarie e sociali e del loro esercizio all’interno del Servizio Sanitario”.
L’incontro promosso da Salutequità sul PNRR e il Piano nazionale Cronicità è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di UCB, Bristol Myers Squibb, Gruppo Menarini, Sanofi e Beigene.
Non hanno dubbi sui percorsi e sulle necessità di cura e assistenza delle cronicità, Valeria Corazza, presidente APIAFCO, l’associazione delle persone con psoriasi e Alessia Amore, vice direttore di AMICI Italia, l’Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, che all’incontro promosso da Salutequità sul PNRR e il Piano nazionale Cronicità, hanno messo sul tavolo del dibattito con istituzioni e ordini professionali le istanze reali dei cittadini pazienti chiedendo l’aggiornamento del Piano Nazionale della Cronicità e registri di patologia per la stratificazione.
“Le condizioni di assistenza che la pandemia ha creato – ha sottolineato in premessa Tonino Aceti, presidente di Salutequità – sono allarmanti: l’11% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche o esami diagnostici nel 2021 ha dichiarato di aver rinunciato per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio. La rinuncia alle cure colpisce di più chi vive in un comune centro di area metropolitana: si è passati dal 7,3% del 2019 al 12,8% nel 2021. I problemi di accesso si acuiscono con l’età e colpiscono più massicciamente le persone anziane: si passa dal 14,6% dei 55-59enni che hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare a visite o esami necessari al 17,8% nella fascia di età delle persone con più di 74 anni”.
“Anche l’OCSE nel suo rapporto annuale 2022 appena presentato – ha aggiunto Aceti – nella panoramica sugli effetti della pandemia ha denunciato l’abbandono delle cure. Ad esempio, quasi un giovane su due non ha avuto accesso all’assistenza per la salute mentale e sono rimasti in stand by l’11,5% in media OCSE degli interventi per cancro. A peggiorare anche la perdita di aspettativa di vita: l’OCSE afferma che la pandemia ha provocato in molti paesi una riduzione senza precedenti dell’aspettativa di vita nel 2020 e nel 2021, cancellando i guadagni rispetto addirittura al decennio precedente”.
Dagli Ordini professionali risposte e bisogni parlano una lingua pressochè comune.
Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale degli Assistenti sociali, ha sottolineato la necessità di un “nuovo linguaggio” che non parli più solo di bisogni sanitari, ma li affianchi sempre a quelli sociali, per i quali vanno formati operatori in numero e in grado dal punto di vista qualitativo di sostenerli, ma soprattutto vanno riconosciuti per rendere attrattiva una professione che altrimenti si confonde, senza alcun effetto positivo sugli assistiti, in mille rivoli e mille definizioni, quando deve essere chiaro che chi ha una necessità a livello sanitario, soprattutto nelle cronicità, ne ha altrettanto a livello sociale. E non solo il paziente, ma anche la famiglia caregiver e per questo tutti devono essere assistiti anche da questo punto di vista da professionisti formati e di qualità.
Basta con le semplificazioni, ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli infermieri: l’assistenza non può essere un momento di “passaggio” per il paziente, ma è fondamentale e per questo devono essere previsti precisi esiti territoriali così come oggi sono analizzati quelli delle cure ospedaliere e devono esserci specialisti ad hoc sul territorio. In questo senso Mangiacavalli, ha sottolineato che negli ultimi anni si è investito molto poco sul personale sanitario e soprattutto sugli infermieri, in termini di sviluppo e valorizzazione di competenze specialistiche. Ora, ha detto, dopo 20 anni di cura dimagrante e spending review, occorre cambiare passo per rispondere ai bisogni di salute complessi. La presidente FNOPI ha denunciato un “appiattimento organizzativo, formativo e contrattuale” della professione infermieristica per la quale è indispensabile un cambio di rotta con un’evoluzione che consenta di formare infermieri specialisti, riconoscerne il ruolo giuridico ed economico. Senza questi presupposti, ha concluso, non può esserci una risposta appropriata ai bisogni di salute complessi e non ci può essere realmente un sistema salute degno di questo nome.
La pandemia avrebbe dovuto insegnare molte cose secondo Alessandro Beux e Francesco Della Gatta, consiglieri nazionali della Federazione nazionale dei tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Alcune importanti. Tra queste, la prima è la valorizzazione, non solo economica, delle professioni sanitarie. Ma finora le professioni sanitarie, non solo non sono state adeguatamente valorizzate economicamente, aggiungono i consiglieri della Federazione delle 19 professioni sanitarie, ma non lo sono state nemmeno per quanto riguarda l’adozione di modalità organizzative del lavoro moderne, in grado di massimizzare l’efficacia delle loro competenze, con maggiore responsabilità per farsi carico direttamente e in modo completo di funzioni e attività, ovviamente all’interno della imprescindibile interprofessionalità.
“Il recupero delle cure mancate, l’abbattimento delle liste di attesta, il rilancio del Piano nazionale della cronicità – ha detto Aceti – sono imprescindibili e in questo senso non solo abbiamo fornito tutti i dati per dimostrarlo, ma abbiamo anche consegnato al Parlamento diverse proposte di emendamenti alla Legge di Bilancio volte a garantire finanziamenti specifici per l’abbattimento delle liste di attesa, con la specificazione degli obiettivi da raggiungere, dei modelli organizzativi prescelti, dei tempi di realizzazione, di un dettagliato cronoprogramma e della destinazione delle risorse e il monitoraggio dell’attuazione come condizione per l’assegnazione delle risorse e anche un finanziamento ad hoc per l’aggiornamento, l’attuazione e il monitoraggio del Piano Nazionale della Cronicità nelle Regioni. I cittadini e gli oltre 24 milioni di cronici non possono più essere lasciati indietro e la politica e le sue esigenze deve lasciare il passo alla qualità dei servizi, alla misurazione degli esiti di salute prodotti dal territorio e al buon senso. Consideriamo inoltre ineludibile lavorare ad un Piano straordinario per il capitale umano del SSN, in grado di definire strategie e investimenti di breve, medio e lungo periodo volti ad affrontare in modo strutturale il problema delle carenze di organico, della mancata valorizzazione economica e professionale, della sicurezza, del benessere organizzativo e della scarsa attrattività delle professioni sanitarie e sociali e del loro esercizio all’interno del Servizio Sanitario”.
L’incontro promosso da Salutequità sul PNRR e il Piano nazionale Cronicità è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di UCB, Bristol Myers Squibb, Gruppo Menarini, Sanofi e Beigene.
– foto Agenziafotogramma.it –
(ITALPRESS).