Nello stesso giorno, a Palermo, vanno in scena due storie molto diverse, sulla vicenda Oper Arms. Due racconti che arrivano entrambi dalla sponda di Matteo Salvini, ma che per certi versi offrono una ricostruzione opposta sui fatti che hanno portato a processo l’ex ministro dell’Interno. Da una parte, nel centro della città siciliana, c’è il sit in organizzato dalla Lega a sostegno del leader. Qua, circa un centinaio di persone (perlopiù parlamentari) rivendicano il blocco della nave della Ong spagnola, che nell’agosto del 2019 fu tenuta ferma a largo di Lampedusa per 19 giorni, con il divieto di sbarco. I leghisti invocano "la difesa dei confini" e parlano di un processo politico. Nello stesso momento, l’avvocata del Capitano, la senatrice leghista Giulia Bongiorno è impegnata nell’arringa che chiude il dibattimento. E la strategia difensiva per evitare la condanna di Salvini sembra molto diversa da quella sbandierata negli slogan e proclami del capo della Lega e dei suoi. La tesi di Bongiorno è che non ci fu nessun sequestro dei migranti, perché fu Open Arms a rifiutare le offerte di approdo arrivate, non solo dalla Spagna, ma anche dall’Italia. Secondo l’avvocata: "Più volte è stata offerta all’Italia alla nave dalla Ong la possibilità di sbarcare, per qualsiasi ragione, ma hanno sempre detto no". Bongiorno arriva a dire che in quei giorni: "L’Italia ha offerto più vie d’uscita, si è messa in ginocchio pur di far scendere i migranti".
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