Memoria vuol dire non dimenticare.
Non lasciare che il tempo oscuri le storie piccole o grandi di chi ha fatto la storia.
Come quella di Arpad Weisz, nato in Ungheria nel 1896 da genitori ebrei.
Il 2 agosto del 1942 Arpad, sua moglie Ilona e i suoi 2 figli, Roberto e Clara, vennero arrestati. La sua famiglia venne subito uccisa nelle camere a gas di Auschwitz, Arpad morì quasi 2 anni dopo sempre in una camera a gas.
Una delle più grandi tragedie dell’umanità ha cercato di cancellare per sempre il nome di Arpad Weisz dalla storia: il suo arrivo in Italia negli anni ’20, la sua carriera da calciatore nell’Alessandria e nell’Inter, l’infortunio che lo spinse a ritirarsi e ad intraprendere la carriera di allenatore, le sue innovazioni, gli Scudetti vinti con l’Inter, scoprendo il talento di Meazza e con il Bologna interrompendo lo storico quinquennio della Juventus. La più becera forma di crudeltà umana ha cercato di cancellare tutto questo. Senza riuscirci.
Oggi ci troviamo ancora a celebrare Arpad, ad elevarne la storia come simbolo dell’impossibilità del malvagio di coprire il buono, di cancellare la memoria.
Celebriamo la memoria di Arpad, della sua famiglia e di quanti come lui, come loro, hanno subito il tentativo di essere cancellati dalla storia dell’umanità, ma il cui ricordo vive ancora in tutti noi.
Che non dimentichiamo.
Lega Serie A, in collaborazione con UISP, cinque anni fa ha dedicato un ciclo di incontri nelle scuole di tutta Italia per diffondere tra i giovani la cultura dell’integrazione e della tolleranza attraverso il calcio (Il Calciastorie), raccontando ai ragazzi la storia di Arpad Weisz tratta dal libro “Dallo Scudetto ad Auschwitz”, scritto da Matteo Marani.
(Foto Bologna FC)
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