a cura di Jennifer Guerra
In queste ore sui social sono stati diffusi il nome e il cognome della vittima della violenza sessuale avvenuta a Palermo. Tante persone la stanno taggando in post su Instagram e ci sono anche molti video su TikTok che la riguardano. Si tratta di una grave violazione della sua privacy e della sua riservatezza e infatti c’è anche per i giornalisti una regola deontologica in proposito, che vieta di divulgare notizie o dettagli su persone coinvolte in fatti di cronaca lesivi della loro dignità personale. È una regola per i giornalisti, ma è una regola che dovrebbe valere per tutti, ed è una regola di buonsenso, ma anche una regola di sicurezza, perché questi dettagli possono compromettere o influenzare le indagini che sono ancora in corso.
Non dobbiamo infatti dimenticarci che la violenza di genere, la violenza sessuale non sono crimini come tutti gli altri, ma hanno delle specificità molto precise e soprattutto una vittima di questi crimini non è un fantasma, ma una persona in carne e ossa che vive nella nostra stessa società, quindi legge quei post, vede quei video, legge quello che c’è scritto sui giornali che la riguarda.
Molte persone giustificano il taggarla o il fare post su di lei dicendo di essere semplicemente curiose oppure di volerla mettere in risalto rispetto all’attenzione mediatica che hanno avuto i sette indagati. In realtà lei non ci ha chiesto di essere messa sullo stesso piano, non ci ha chiesto di avere esposizione mediatica.
Sembra che in realtà lo scopo di post come questi non sia davvero di sostenerla o di attirare l’attenzione su di lei, ma piuttosto di attirare l’attenzione su chi scrive quei post, che va in cerca di like e di visualizzazioni sfruttando una storia di una persona che non si può difendere e non può rispondere.
Se davvero ci importasse qualcosa di lei, rispetteremmo la sua scelta dell’anonimato, che è una scelta giustificata, ed è una scelta comprensibile e soprattutto è una scelta sua.
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