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Nei padiglioni della Biennale: USA, Corea, Arabia Saudita e Malta

Venezia, 2 mag. (askanews) – Il Leone d’oro Simone Leigh lo ha vinto per la mostra internazionale, ma l’artista afroamericana è presente alla Biennale Arte anche con il padiglione nazionale degli Stati Uniti. Potente quanto e forse più del monumentale intervento in Arsenale, il padiglione si presenta fin da subito come una grande scultura ispirata all’estetica del colonialismo o, meglio, alla rappresentazione delle altre culture che veniva data in occidente. La rottura di una forma mentale storicizzata è evidente fin da subito, e si amplifica all’interno delle sale, dove le sculture di Leigh, in bronzo e in ceramica, analizzano la costruzione della soggettività femminile nera. Le forme sono ancorate alle tradizioni non occidentali, ma sono anche potentemente contemporanee e hanno una forza politica, così come sessuale, di prim’ordine. Un discorso che si inserisce alla perfezione nello spirito della Biennale di Cecilia Alemani e anche nella ridefinizione delle radici del nostro presente, ma si tratta di un’arte che va ben oltre la semplice dimensione del politically correct.

Ad andare oltre una certa idea di arte è anche il Padiglione della Corea, che rappresenta una sorta di viaggio nelle relazioni tra il visibile e l’invisibile, tra l’universo e noi, tra l’umano e il dis-umano. Il progetto "Gyre" dell’artista Yunchul Kim mette in risonanza tutte le cinque opere del padiglione e costruisce dei labirinti all’interno di altrettanti labirinti. Ma tutto ruota intorno alla poderosa struttura di "Chroma V", una sorta di serpente robotico di 50 metri, attorcigliato su se stesso, le cui spire ricoperte di schermi led si muovono e, letteralmente, vivono, in relazione agli impulsi che derivano da un’altra macchina in mostra, un rilevatore di particelle cosmiche, i muoni, che in base alle frequenze delle invisibili interazioni tra noi e il cosmo, crea movimenti visibili, crea un’arte che appare, al tempo stesso, pura, lontanissima e inevitabile. Un’arte che sembra prescindere dall’umanità e dal nostro destino come specie.

Un’altra sorta di enorme serpente domina lo spazio del padiglione dell’Arabia Saudita in Arsenale. L’artista Muhannad Shono ha creato un’installazione pneumatica ricoperta di fronde di palma essiccate. Una struttura viva, odorosa, che ragiona sull’idea della linea e ne mette in discussione l’interpretazione univoca e le strutture di potere che ne derivano.

L’opera è un "Albero dell’apprendimento", ma come un corpo vivo e misterioso, si alimenta della sua stessa ambiguità e, una volta di più, cresce e cambia a prescindere da noi.

C’è una sensazione di metamorfosi anche nel padiglione di Malta, dove l’italiano Arcangelo Sassolino e il maltese Giuseppe Schembri Bonaci, insieme al compositore Brian Schembri, hanno reinterpretato la decollazione del Battista di Caravaggio, conservata nella cattedrale de La Valletta. Un progetto di grande impatto, con una vera e propria pioggia di acciaio incandescente che cade in vasche d’acqua, spegnendosi, per poi ricominciare. Nelle sale buie si percepisce il peso della storia, il suo essere ciclica e infinita e, nella visione dei curatori, la trasformazione della pioggia di metallo, il suo cambiamento di stato, rappresenta anche un atto di riconciliazione, che spiritualmente apre lo spazio per un progresso.

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