Queste sono le parole di mister Mourinho alla vigilia della Finale di Conference League contro il Feyenoord.
È stato un lungo viaggio. Arriva qua con quale consapevolezza?
“Siamo arrivati alla fine del percorso, al termine di questa stagione, con due finali da giocare nello spazio di quattro giorni. La prima ci dava quello che noi meritavamo e quello che noi dal primo giorno avevamo come target, ossia giocare in Europa League la prossima stagione, migliorando la nostra classifica. Siamo riusciti a vincerla.
Per me, era una finale dove non si poteva scrivere la storia ma semplicemente finire il lavoro di una stagione e raggiungere un obiettivo nostro. Ma per la Roma, finire con una qualificazione in Europa League è una cosa normale.
Questa finale invece è Storia. È Storia che abbiamo già scritto, per essere arrivati qui, in finale dopo tanti anni. Ma ovviamente, quando arrivi in finale, devi fare tutto il possibile per scrivere la vera Storia. E quindi vincerla”.
È riuscito a recintare l’euforia della squadra? Come sta la squadra psicologicamente e quali sono le condizioni di Mkhitaryan?
“Lo abbiamo fatto prima della partita di Torino. Era una gara difficile, era importante il focus lì. Era importante sapere che giocare una finale ha già un livello alto di tensione, tale che non c’era bisogno di avere una doppia tensione: arrivare qui sapendo di doverti giocare la Coppa e la qualificazione per l’Europa League. Non avevamo bisogno di questa tensione extra.
Lo abbiamo tolto, ci siamo qualificati, l’obiettivo è stato raggiunto, e questo è stato il miglior modo di pensare solo a questa finale.
Io e il mio staff da venerdì sera siamo insieme a Trigoria. Non siamo mai usciti, non siamo andati a casa. Siamo rimasti lì. Ovviamente, non potevo chiederlo ai giocatori. Ma penso che loro stiano molto bene. Vedo la squadra concentrata, con la tensione giusta e anche con la gioia, perché occorre avere gioia per giocare una partita così.
Stiamo bene. Mkhitaryan si è allenato oggi per la prima volta con la squadra. È stata una sessione molto piccola, senza alcun tipo significato ai fini del lavoro per la finale, perché era aperta a voi (ai media, ndr). Non dico che fosse ‘fake’ per lui, ma molto molto basica. Però per lui è stata importante per la sensazione del ‘sì’ o del ‘no’.
Io mi fido molto della sua esperienza, ne ha tanta, conosce molto bene il suo corpo e sa interpretare bene le sue sensazioni. Alla fine dell’allenamento, mi ha detto di sentirsi bene e a disposizione per giocare”.
Ho visto che c’è una grande attenzione per questa partita, per la Roma e per la sua persona. La sua esperienza, il suo carisma, la sua leadership, può fare la differenza?
“Penso di no. Prima di tutto, penso che la gente sbagli un po’ nell’analisi. Credo che l’unico motivo per cui esiste questo feeling pro Roma è perché abbiamo un giocatore albanese. Mi sembra la cosa più logica e più normale.
Se la Roma vince, un albanese alza la coppa. E questo ha un significato. Ho giocato una Supercoppa Europea Manchester United-Real Madrid in Macedonia del Nord ed è stato bellissimo: un Paese e una città in festa, con l’opportunità unica di vedere una Supercoppa Europea. Qui a Tirana è lo stesso. Siamo arrivati qui ed è facile capire come sia un momento importante per loro, un momento che meritano come Paese per la crescita.
Lo stadio è molto bello, anche se è un peccato perché la capacità non è quella che farebbe la gioia di molti tifosi. Sono comunque contento di giocare qua.
Se il mio carisma potrebbe fare la differenza? Penso di no. Le finali sono le ultime partite della stagione. Qualche volta si gioca una finale di coppa nazionale, ma le finali delle competizioni europee sono sempre l’ultima partita di una stagione. E quando arrivi all’ultima partita, il lavoro è fatto. Soprattutto per noi che abbiamo giocato venerdì, non c’è stato niente da fare in questi ultimi due, tre giorni. La leadership non è una cosa che si può mettere sul tavolo o che produrre un effetto per due o per tre giorni. Fa tutto parte di un processo.
Domani è il giorno dei giocatori e noi allenatori siamo fuori. Cerchiamo ovviamente di aiutare, di leggere la partita, di aiutare la squadra. Ma il lavoro è fatto. E domani è solo l’ultima partita, che fortunatamente è una finale. Dico fortunatamente, perché quando arrivi in finale devi essere solo felice di esserci arrivato e di giocarla con l’atteggiamento giusto”.
Questa sua serietà è determinata solo dal fatto che è una finale?
“È una finale. Fino a domani, non c’è altro nella mia testa. È solo la finale. È solo il mio modo di essere. L’esperienza non aiuta. Io pensavo di sì, ma non è così. Il mio modo di sentire è uguale alla mia prima finale: non cambia venti anni dopo. Se mi vedi un po’ più serio, magari è concentrazione, magari è un mio modo per prepararmi alla partita. Penso solo a questo”.
Lei è anche un allenatore scaramantico?
“No, no, no. Non lo sono. Credo di essere una delle poche persone nel calcio a non esserlo. Qualche volta litigo con qualcuno che lo è”.
Quindi, a tal proposito, lei non ha nulla da dire sul fatto che ci saranno 50 mila tifosi davanti ai maxischermi. Perché nella storia questa cosa a Roma non è andata sempre bene.
“No, no. Il sostegno dei tifosi, la passione dei tifosi, può solo fare bene, non può fare male. Se la Roma qualche volta ha perso una finale con gente all’Olimpico davanti agli schermi, sicuramente non è colpa loro.
Non c’è una questione scaramanzia. Per darti un’idea: mi hanno chiesto con che maglia giochiamo domani, con quella di questa stagione o con quella della prossima. Io ho risposto che non voglio saperlo. È uguale. Non sono affatto scaramantico”.
Come sta la sua caviglia, colpita da Kumbulla? E qual è il futuro di Marash? Se vince domani, può diventare l’unico tecnico che ha conquistato tutte le coppe europee.
“Se vinco”.
Se vince.
“Non sono scaramantico, ma è la verità. A me non piace parlare con i ‘se’. Vediamo. Quanto a Marash, mi ha fatto male. Veramente male. E scherzando ho detto che, tra tutti i giocatori che mi potevano colpire, lui avrebbe dovuto essere l’ultimo, perché è il più pesante.
Pensavo di andare alla partita con le infradito, perché il piede non entrava nella scarpa. Ma Marash è un bravo ragazzo, è un bravo giocatore. Ha imparato tanto in questa stagione e il prossimo anno sarà con noi al 100%, perché ha le potenzialità per diventare ancora più bravo”.
Come mai le squadre olandesi non vincono mai le finali?
“Non è vero. L’Ajax ha vinto delle finali, il PSV ha vinto la Champions. Il Feyenoord ha vinto la Coppa UEFA, col mio amico Pierre Van Hoijdonk. Voi avete una straordinaria storia”.
Qual è la sua prima impressione del Paese? Le persone mi hanno detto di chiederle come uno Special One può vincere un match speciale?
“Questa storia dello Special One è vecchia. È una storia quando sei agli inizi. E quando sei più maturo, hai maggiore stabilità, pensi molto di più alle persone e meno a te stesso. Quindi, per me questa cosa dello Special One è davvero una vecchia storia. Domani posso fare quello che ogni allenatore può fare, ossia cercare di aiutare. Non credo alle pozioni magiche, non credo nei momenti magici. Quando arrivi a una finale dopo quasi un anno, il lavoro è fatto. Questo è il momento della squadra, è la squadra che gioca domani. Del team, mio, dello staff: è il nostro momento, non lo è di un singolo individuo.
Non dobbiamo fare niente di speciale, dobbiamo essere solo noi stessi, come una squadra, conoscendo le nostre qualità e i nostri limiti. E tu ovviamente sei una buona squadra se riesci a nascondere questi piccoli problemi che ogni squadra ha. E noi ne abbiamo alcuni.
L’Albania? Onestamente, è la prima volta che vengo. È uno dei pochi Paesi europei che non avevo visitato, perché il calcio mi ha portato ovunque ma non qui. Sono felice di essere venuto. Non ho visitato la città, sono veramente felice dell’aeroporto, perché per esempio, quando abbiamo giocato contro il Vitesse, siamo rimasti in aeroporto a Eindhoven per due ore. Non so perché, ma ci siamo sottoposti a tanti controlli, come se fossimo criminali e loro stessero cercando qualcosa.
Il campo è buono e lo stadio è molto bello. Penso che sia stato criticato perché non può contenere 50 o 60 mila persone. Ma la UEFA non deve essere criticata per avere portato il calcio ovunque, per avere portato il calcio in Paesi emergenti. Quindi, sono felice di essere venuto e di giocare questa finale albanese, se si può chiamare così”.
Zalewski ha avuto un brutto inizio di stagione, anche per la perdita del papà. E’ sorpreso da quello che ha fatto nella seconda parte? Quali sono le sue qualità che apprezza di più?
“Non sono d’accordo con lei quando dice che ha avuto una brutta prima parte di stagione. Quello è stato forse il momento più importante della sua carriera. La realtà è che un anno fa lui giocava in Primavera e in questo momento gioca nella prima squadra. Questi sei mesi sono stati importanti per la sua carriera.
Quanto alla sua posizione, per essere onesti, lui può giocare ovunque. Questo è un aspetto positivo o meno per i giocatori? La gente ha opinioni differenti. Il mio pensiero è che quando hai venti anni, e hai la possibilità di giocare, difensore centrale o centravanti non conta, devi solo andare e giocare. È un bravo a imparare, è un bravo ragazzo. Ha un grande futuro per noi, ha un grande futuro per la sua Nazionale”.
Comunque vada la finale, la stagione è positiva?
“Per me sì. Per me, è una stagione positiva”.
Volevo sapere se ha ancora dei dubbi di formazione? Spinazzola ha delle concrete chance o il suo impiego era un premio?
“No, non è un premio, è un giocatore disponibile per domani. Dieci mesi fuori sono tanti. Però, ha lavorato tanto per tornare. Gli mancavano dei minuti, gli mancavano delle sensazioni, gli mancava avere quello che ha avuto col Torino, ossia 75 minuti in campo che è diverso dal tornare in campo per sei, sette minuti a Firenze. Quelle sensazioni di Torino sono state positive e domani è un’opzione per noi”.
(Foto LaPresse)