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Montanari: con film su Torregiani ho capito quanto amo mio lavoro

Roma, 20 gen. (askanews) – Racconta la vicenda umana di Pier Luigi Torregiani il film "Ero in guerra ma non lo sapevo", diretto da Fabio Resinaro, nei cinema il 24, 25 e 26 gennaio e poi a febbraio su Rai1. Francesco Montanari, in una delle sue migliori prove, interpreta il gioielliere ucciso nel febbraio del 1979 da tre tre membri dei Pac, i Proletari Armati per il Comunismo.

Siamo a Milano negli anni di piombo e Torregiani è un uomo che si è fatto da sé, che ha in progetto di far crescere la propria attività, e che reagisce ad un tentativo di rapina in un ristorante. Nella sparatoria muoiono due persone, e lui viene etichettato come "lo sceriffo", preso di mira dalla stampa e dal gruppo terroristico di cui faceva parte Cesare Battisti. Il film è basato sul libro scritto da Alberto Torregiani che, durante l’agguato in cui il padre fu ucciso, fu colpito rimanendo paralizzato.

Montanari racconta: "Noi raccontiamo un uomo che per motivi più forti di lui ad un certo punto deve fare i conti con le sue scelte, un uomo che è sempre abituato a prendersi le responsabilità delle proprie scelte, nel bene e nel male, è un uomo pragmatico, molto concreto. Ad un certo punto non può più farlo, perché non dipende da lui. Non dipende da lui, è tutto più forte. Ma io sono una brava persona, perché mi sta succedendo questo? Non l’ho scelto io, io sono una vittima, una brava persona, non capisco perché adesso debba mettere in discussione tutto quello che ho costruito faticosamente".

Il film racconta soprattutto la vicenda privata di quest’uomo, della sua famiglia, della moglie, interpretata da Laura Chiatti, e dei tre figli adottivi. Da quando Torregiani iniziò a subire le prime minacce vennero travolti da qualcosa di troppo grande, anche se lui cercò di proteggere con ostinazione il proprio mondo. Montanari ha girato il film subito dopo il primo lockdown, e oggi dice:

"A me interessava molto questo film raccontarlo al meglio delle mie possibilità perché è un argomento molto caldo: la strumentalizzazione, il capro espiatorio, l’ingiustizia subita. Mi sono reso conto in un momento di crisi così lancinante che viviamo, ma all’epoca era ancora più caldo il tutto, perché c’era ancora la novità e quindi la disabitudine a tutto questo, quanto realmente mi mancasse e mi piacesse fare questo lavoro".

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