Quando Michela Murgia denunciava un’ingiustizia o parlava di un problema, la notizia non riguardava mai il problema o l’ingiustizia, ma Michela Murgia. Questo succede soltanto ai grandi intellettuali che sono scomodi e riescono ad attirare l’attenzione su di loro.
Anche oggi molti nel ricordarla ci tengono a sottolineare che spesso non erano d’accordo con lei o che non condividevano tutte le sue idee, ma questo è un segno di grandezza perché un intellettuale che mette tutti d’accordo, che sta simpatico a tutti, che non dice mai una parola sbagliata, non è un intellettuale che assolve alla sua missione. E Michela Murgia ha avuto anche un grande merito, ovvero quello di aver rilanciato il femminismo in Italia. È stata per certi versi un ponte tra il femminismo degli anni ’70 e il femminismo di oggi ed è riuscita a trasmettere quei valori che rischiavano di essere persi. Con i suoi libri, con i suoi podcast, con i suoi articoli, con i suoi interventi Michela Murgia promuoveva un femminismo autentico che a volte poteva quasi essere scambiato per egoismo, perché era un femminismo che teneva molto all’autonomia e all’indipendenza personali. Ma il suo femminismo era un femminismo che coniugava benissimo questa esigenza di individualità, di affermarsi come soggetti liberi e indipendenti, ma anche la collettività. Con la sua scelta di trasformare la morte in un atto politico, ha proprio dimostrato quanto la relazione con gli altri sia fondativa e importante all’interno del femminismo e senza la sua opera probabilmente ci saremmo scordate, dimenticate anche di questi aspetti così importanti. E per questo dobbiamo essere sempre grate e grati a questa grande intellettuale che ci ha lasciato.