Roma, 6 apr. (askanews) – Nuove strategie terapeutiche per cambiare l’approccio della cura nei prossimi anni. L’esperienza pandemica sta spingendo, nei diversi settori della medicina, a premere sull’acceleratore per un approccio innovativo, con nuovi farmaci che potrebbero essere disponibili già nei prossimi anni. Ma siamo realmente pronti a livello di sistema? Di questo rivoluzionario impatto sulla salute delle persone si è parlato in occasione del webinar "Twenty/Twenty-one (promosso da Motore Sanità). L’innovazione dirompente nell’anno 2021".
Una riflessione ad ampio raggio, che ad esempio per le malattie neurodegenerative descrive un panorama altrettanto pandemico nei prossimi decenni. Con una
triplicazione dei casi di malattia di Alzheimer, quasi 14 milioni nel 2050, e ancora di più in quei paesi emergenti dove l’aspettativa di vita sta rapidamente crescendo. Occorre allora innovare velocemente e puntare alla prevenzione. Carlo Ferrarese, Direttore Centro di
Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza
La sfida nei prossimi anni è intercettare le forme molto precoci quello che chiamiamo declino cognitivo lieve che consistono in iniziali disturbi di memoria con soggetti ancora in grado di badare a se stessi, quindi non ancora dementi. In questi soggetti è possibile dimostrare che già c’è un accumulo di questa proteina alterata, beta-amiloide nel cervello, tramite una Pet cerebrale, con una puntura lombare che ci può permettere di analizzare le concentrazioni di questa proteina nel liquido cerebro spinale".
Nuove terapie dunque come risposta all’emergenza. Vale anche per la lotta contro malattie cardiache, e contro i tumori. Dove la ricerca si è spinta comunque già avanti. Ora è il tempo delle scelte, come accade proprio per l’oncologia, chiamata anche a fare i conti con i costi della cura. Come conferma il professor Massimo Di Maio, segretario generale dell’Associazione italiana oncologia medica.
"Anche nell’ottica dell’impiego delle risorse in maniera ottimale sarebbe ideale che la ricerca guardasse in particolare ai fattori predittivi, molecolari o clinici, che predicano l’efficacia del trattamento. Per l’immunoterapia c’è ancora tanta strada da fare su questo. È vero che ha consentito una svolta per una parte di pazienti metastatici che si beneficiano di un controllo lunghissimo anche a distanza di anni dall’inizio del trattamento, ma oggi ancora non sappiamo quando iniziamo il trattamento, che è gravato anche da qualche effetto collaterale, chi se ne beneficerà a lungo e chi no. E questa è la sfida del futuro".
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