Mangiare con la mente: 5 curiosità

di Paulo Bruno Exequiel

Mangiare con la mente: 5 curiosità

Negli ultimi anni è notevolmente aumentato l’interesse delle persone per il cibo. Ora ci preoccupiamo per il cibo che mangiamo e facciamo in modo di seguire le linee guida nutrizionali che ci permettono di avere una sana alimentazione. Tuttavia, l’alimentazione non è solo un processo fisiologico, la nostra mente gioca un ruolo importante nella stessa determinando le nostre preferenze.
Infatti, mangiando non ci stiamo solo nutrendo, ma sperimentiamo anche diverse emozioni. Proviamo piacere quando il cibo ci piace, ma proviamo anche un senso di colpa quando non rispettiamo la nostra dieta. Inoltre, il nostro umore influenzerà non solo la quantità, ma anche la scelta del cibo.
Pertanto, per seguire una dieta sana è essenziale comprendere i meccanismi psicologici che si nascondono dietro all’alimentazione.
1. Non sapete quando siete veramente sazi
Noi crediamo che la quantità del cibo che mangiamo corrisponda alla fame che sperimentiamo. Ma l’appetito è in realtà solo un fattore nell’equazione. La quantità di cibo che possiamo ingerire dipende anche dalle dimensioni dei piatti, dalla luce e i colori della stanza.
In uno studio molto interessante condotto presso la Cornell University i ricercatori hanno usato un piatto di zuppa che si riempiva automaticamente attraverso un meccanismo nascosto. Le persone che mangiarono in questo piatto ingerirono quasi il doppio del cibo, ma non si sentivano più sazi di quelle che mangiarono da un piatto normale.
Questo indica che la connessione tra lo stomaco e il cervello funziona lentamente, il segnale di sazietà necessita di almeno mezz’ora per essere elaborato dalla nostra mente. Pertanto, il senso di sazietà è strettamente legato alle quantità di cibo che vediamo, piuttosto che a quanto realmente mangiamo.
2. Gli alimenti vi possono piacere più o meno, a seconda del momento della giornata
Tendiamo a pensare che il cibo abbia un sapore intrinseco che può più o meno piacere. In realtà non è così, un esperimento molto semplice dimostra che la percezione dei sapori cambia non solo nel corso della vita, ma anche durante la giornata.
Infatti, anche se vi piace mangiare carote, verdura e carne per cena, probabilmente non mangereste mai gli stessi alimenti alla mattina a colazione. Il contesto in cui viene presentato il cibo influenza fortemente il suo sapore.
Nel corso degli anni abbiamo associato certi cibi a determinati momenti, in modo tale che quando ci vengono presentati a orari insoliti, li rifiutiamo e ci disgustano.
3. Tentare di reprimere i pensieri sul cibo, vi porta a mangiare smodatamente
Può sembrare una contraddizione, ma è stato dimostrato che il tentativo di sopprimere certi pensieri ha un effetto boomerang. In pratica, quando cerchiamo di rimuovere un pensiero dalla nostra mente, questa ultima adotta un atteggiamento di iper-attenzione generando l’effetto opposto: l’idea diventa ancora più ricorrente.
Lo stesso vale per il cibo. In un esperimento condotto presso l’Università della Florida i ricercatori hanno analizzato le abitudini alimentari di alcune persone in sovrappeso e i loro pensieri di tutti i giorni. Così si è potuto vedere che le persone più suscettibili di mangiare in eccesso erano proprio quelle che tentavano disperatamente di sopprimere i loro pensieri sul cibo.
Oggi, infatti, si conosce che le diete troppo restrittive causano la perdita di controllo emotivo. Queste persone, una volta che abbandonano la dieta, non recuperano solo i chili persi, ma addirittura un terzo in più.
4. Il cattivo umore vi fa scegliere dei cibi poco sani
Il concetto di “fame emotiva” è vecchio. In realtà, molte persone non mangiano perché hanno fame, ma semplicemente perché sono ansiose. Pertanto, il fattore emotivo è essenziale in qualsiasi dieta per perdere peso.
Ad ogni modo, è stato anche riscontrato il fatto che quando ci arrabbiamo, tendiamo a scegliere degli alimenti che altrimenti non mangeremmo. In realtà, quando siamo arrabbiati, stressati, o depressi, di solito scegliamo dolci e bevande zuccherate o alimenti con un alto contenuto di grassi.
Il problema principale è che, quando siamo arrabbiati, non siamo in grado di esercitare l’autocontrollo, che è una risorsa limitata, e siamo più propensi a cedere alla tentazione. Inoltre, questo tipo di cibo genera una forte risposta nel cervello, che attiva i nostri centri del piacere. Quindi rappresenta una sorta di compensazione naturale.
5. Le etichette dei prodotti alimentari determinano quanto vi piaceranno
La percezione del gusto dipende da molti fattori, molti dei quali psicologici. Ad esempio, è stato dimostrato che quando alle persone viene presentato lo stesso vino ma con diverse etichette, queste preferiscono quello che è stato etichettato come “socialmente” buono, anche se entrambi i vini sono uguali.
Un esperimento particolarmente interessante condotto presso l’Università del Sussex, dimostra inconfutabilmente questo fatto. I ricercatori hanno detto ai partecipanti che stavano valutando il sapore di un nuovo alimento e l’accettazione che avrebbe avuto sul mercato. Ad alcuni è stato detto che si trattava di un gelato al gusto di salmone affumicato, ad altri che era una mousse di gelato salato. Anche se si trattava dello stesso prodotto, le persone a cui era stato detto che era un gelato lo rifiutarono, mentre quelle a cui era stato detto che era una mousse lo apprezzarono molto.
Le aspettative che abbiamo verso i prodotti alimentari, che sono generate in gran parte dalle etichette, dai critici gastronomici e anche dalle persone che sono intorno a noi, condizionano l’accettazione o il rifiuto di determinati sapori.
Fonti:
Barnes, R. D. & Tanleff, S. (2010) Food for thought: Examining the relationship between food thought suppression and weight-related outcomes. Eating Behaviors; 11(3): 175–179.
Yeomans, M. R. et. Al. (2008) The role of expectancy in sensory and hedonic evaluation: The case of smoked salmon ice-cream. Food Quality and Preference; 19(6): 565–573.
Wansink, B. et. Al. (2007) Fine as North Dakota wine: Sensory expectations and the intake of companion foods. Physiology & Behavior; 90(5): 712-716.
Wansink, B. et. Al. (2005) Bottomless bowls: why visual cues of portion size may influence intake. Obesity Research; 13(1): 93-100.
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