Roma, 12 mag. (askanews) – A Ramallah funerali solenni per Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa da una pallottola alla nuca mentre copriva un raid israeliano a Jenin.
Una tragedia non solo per la famiglia della cronista, volto notissimo dell’emittente qatariota; è diventata subito una faccenda di grande importanza diplomatica, anche perché Abu Akleh era cittadina americana oltre che palestinese, e Washington ha chiesto che si faccia piena luce.
I palestinesi accusano l’esercito israeliano, forse un cecchino. Abu Akleh, munita di giubbotto con la scritta Press, si trovava in un punto che secondo i colleghi con lei, era tranquillo, e non in mezzo a uno scontro a fuoco; un altro giornalista è stato gravemente ferito.
Israele da parte sua dopo aver parlato di una probabile pallottola palestinese, ha prudentemente ammesso di non poter escludere che il colpevole sia un soldato israeliano.
Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, parlando davanti alla bara, ha sottolineato che l’ANP rifiuta l’inchiesta congiunta proposta dalle autorità israeliane "perché sono loro ad aver commesso questo crimine e non ci fidiamo. Faremo ricorso" ha detto "alla Corte Penale Internazionale".
Accuse ribadite anche da Al Jazeera, dai paesi arabi all’Onu e in particolare dall’emiro del Qatar. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz però, Israele ha promesso di condividere i risultati della sua inchiesta proprio con l’emirato, con cui ha fitti e sotterranei rapporti diplomatici.
Sempre il quotidiano israeliano scrive, con l’analista Zvi Bare’l, che i giornalisti che seguono il conflitto sono ormai visti come parte della guerra, considerati membri della forza nemica. L’uccisione della giornalista potrebbe provocare nuove ondate di violenza.
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