Il settimo episodio della serie di Aldo Cazzullo «L’Omicidio Matteotti, 100 anni dopo» dedicata a Giacomo Matteotti, politico e antifascista, segretario del Partito Socialista Unitario rapito e assassinato il 10 giugno 1924 dai fascisti.
Molti italiani sono convinti che Mussolini fosse in fondo una brava persona che fino al 1938 le aveva azzeccate quasi tutte. Poi certo le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, l’alleanza con Hitler. Ma in realtà nel 1938 Mussolini aveva già eliminato politicamente e a volte anche fisicamente
tutti i capi dell’opposizione. I cattolici: Don Sturzo, De Gasperi, don Giovanni Minzoni; i socialisti come Matteotti, i comunisti come Gramsci, i liberali come Giovanni Amendola. Aveva fatto eliminare anche Piero Gobetti.
Gobetti era un giovane editore di Torino e quando muore, nel 1926, dopo numerose aggressioni delle squadracce fasciste, non ha ancora compiuto 25 anni. Gobetti era antifascista e la prima aggressione l’aveva subita proprio nei giorni del delitto Matteotti: Mussolini in persona aveva telegrafato al prefetto di Torino dicendo: «Vi prego di rendere la vita difficile a questo insulso oppositore di governo e fascismo». Alcuni giorni dopo Mussolini venne obbedito. Le squadracce lo aspettarono nell’androne di casa e lo massacrarono di botte. Bruciarono anche i libri che portava con sé: tra questi c’era l’opera prima di un giovane poeta ligure di cui Gobetti aveva intuito il talento. Si chiamava Eugenio Montale e il manoscritto «Ossi di seppia». I due restarono sempre amici, e quando Gobetti decise di lasciare l’Italia, stanco delle ripetute aggressioni, fu Montale ad andare a salutarlo in stazione. Rifugiarsi in Francia non servì: Gobetti morì in una clinica solo dieci giorni dopo.
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