Nel corso degli Stati Generali della natalità a Roma, il presidente uscente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha presentato una proiezione, secondo cui l’Italia potrebbe perdere 11 milioni di abitanti da qui al 2070. Un trend che non sarebbe invertito, spiega Blangiardo, nemmeno se i flussi netti dell’immigrazione raddoppiassero, rispetto alle previsioni dell’istituto, arrivando a 260mila migranti l’anno. Nessuna prospettiva di ‘sostituzione etnica’, insomma, ma semmai di un generale crollo della popolazione. "Il processo migratorio provoca dei ricambi, è un processo naturale, già avvenuto in passato, non c’è nulla di problematico", dice Blangiardo. Poco dopo, allo stesso appuntamento, arriva proprio il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, che qualche settimana fa aveva lanciato l’allarme sulla possibile ‘sostituzione etnica’ degli italiani da parte degli stranieri. Lollobrigida nega un collegamento tra i termini da lui usati e teorie complottiste o suprematiste, ma sul merito della questione rincara la dose: "Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana – dice il ministro -. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, che in questo convegno si tende a tutelare". E prosegue: "Perché preoccuparsi per le nascite in Italia? Probabilmente per la difesa dell’appartenenza alla cultura italiana, al nostro ceppo linguistico, il nostro modo di vivere". L’alternativa, adombrata da Lollobrigida, sarebbe questa: "Siccome in tutto il resto del pianeta c’è una crescita esponenziale delle nascite e tanti vorrebbero venire a vivere in Italia, basterebbe creare le condizioni per riportare il deficit in pareggio". Un’ipotesi che il ministro chiaramente reputa una minaccia e che somiglia molto a paventare di nuovo un progetto di ‘sostituzione etnica’, senza nominare esplicitamente la definizione.
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