Una delle maggiori ‘sorprese’ della manovra varata dal governo Meloni è la stretta sulla pensioni. L’esecutivo ha ristretto i requisiti per accedere al pensionamento anticipato delle donne (cancellando Opzione Donna) e di chi fa lavori gravosi. Ma soprattutto, nella conferenza stampa per presentare la legge di bilancio, il ministro dell’Economia leghista Giorgetti ha annunciato un innalzamento dell’età pensionabile: da quota 103 (62 anni + 41 di contributi) si passa a quota 104, anche se in una forma ibrida, non ancora ben definita. Di certo, gli interventi vanno in direzione opposta a quanto promesso in campagna elettorale dai partiti della maggioranza. In particolare dalla Lega, che assicurava il superamento definitivo della legge Fornero e la possibilità per tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. "Quota 41 resta l’obiettivo della legislatura", prova a parare il colpo il deputato salviniano Alberto Bagnai. Il collega di partito Stefano Candiani ammette: "La manovra è come una rosa, ci sono il profumo e le spine, sulle pensioni ci sono le spine". Che il governo stesse prendendo questo tipo di direzione d’altronde era già intuibile dalle parole contenute nella Nadef, presentata poche settimane prima della legge di bilancio. Nel documento, Giorgetti scriveva che la legge Fornero – tanto odiata da Salvini – aveva innescato un meccanismo virtuoso: "Elevando i requisiti di accesso per il pensionamento di vecchiaia e anticipato, ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo una maggiore equità tra le generazioni". A questo punto, la Lega deve fare mea culpa? "Io non sono mai stato appassionato di quote – ribatte il senatore del Carroccio Claudio Borghi – la soluzione è andare sempre di più verso il sistema contributivo, con cui ognuno è libero di fare quello che vuole e avrà quanto ha versato di contributi".
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