Intervistato da Fanpage.it Luigi Li Gotti, ex avvocato di Giovanni Brusca, spiega di aver ricevuto una lettera prima che l’ex boss di Cosa Nostra fosse scarcerato per fine pena. Una lettera come tante, in cui si parla di calcio ma al cui interno c’è anche una considerazione dell’ora collaboratore di giustizia. "Si potrebbe chiudere la partita con Cosa Nostra". «Una lettera normale», commenta Li Gotti mentre la mostra a Fanpage.it chiedendo però di non riprenderla. Scritta a fine aprile, tra la delusione per il campionato di Serie A e i saluti all’avvocato che ne ha seguito le vicende giudiziarie, contiene una considerazione, che Li Gotti interpreta e spiega durante l’intervista. «Io a lei ovviamente, per motivi di ovvia riservatezza, ho fatto leggere l’ultima lettera che mi ha scritto Brusca. Si dice da parte di Brusca che, spiega l’avvocato Li Gotti a Fanpage.it, con una buona volontà, si potrebbe chiudere la partita con Cosa Nostra. Ma ci vuole una forte volontà politica per fare questo. E poi si parla di sport, di calcio essendo tifosi antagonisti. Una lettera normale, ma chiaramente è una lettera di chi è al di fuori da determinate logiche, parla chi è al di fuori da un mondo».
Li Gotti poi aggiunge: «Brusca è responsabile di crimini efferati, tremendi. Forse dei più significativi e pesanti crimini commessi da Cosa Nostra – racconta l’avvocato Li Gotti – e quindi ha fatto scalpore l’applicazione del nostro codice. Comprensibilissimo questo fatto da parte dei familiari delle vittime la cui indignazione, rabbia, la sfiducia verso lo Stato… i familiari delle vittime hanno sacrosanto e legittimo diritto a vivere questa applicazione della legge, come un oltraggio alla loro vita di sofferenze. Diverso, aggiunge Li Gotti, è il discorso della politica. La politica dovrebbe essere più rispettosa delle leggi che se vuole può cambiare. Cambi il codice, cambi la legge sui collaboratori se ritieni. Fa questi piaceri a Cosa Nostra, perché se lo Stato è riuscito a sconfiggere quanto meno l’ala militare di Cosa Nostra, lo si deve alla collaborazione di mafiosi che hanno raccontato, che hanno messo lo Stato in condizione di fare processi e condannare».
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