Il 14 dicembre al Palazzo di Vetro si decide se espellere l’Iran dalla Commissione sulle Donne
Dentro il Palazzo di Vetro si decidere se espellere Teheran dalla Commissione sulle Donne; fuori installazioni e dipinti sulla strage dei ragazzi firmati anche dall’artista iraniana-americana Aphrodite Desire Navab. Un grande occhio — vecchia opera di Shirin Neshat, che contiene i versi della poetessa Forough Farrokhzad — è dipinto sulla scalinata del parco intitolato alle Quattro Libertà (di parola, di religione, dal bisogno e dalla paura) articolate dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Naturalmente la prima installazione, di Sheida Soleimani, è dedicata a Mahsa Amini: il velo in fiamme e la TAC che rivela la frattura al cranio della ragazza che ha acceso la rivoluzione. Attorno al tronco di ciascuno dei 92 alberi del parco, Aphrodite Désirée Navab ha avvolto con l’aiuto dei suoi familiari bandane coi colori della bandiera iraniana e la scritta zan (donna). «Sono come manifestanti che chiedono all’Onu: "State guardando cosa succede?"». L’artista spiega che nella tradizione zoroastriana, le donne, nel Solstizio d’inverno, legano nastri colorati agli alberi: per ogni nastro c’è un desiderio. La mostra «Eyes on Iran», creata dal collettivo For Freedoms diretto da Claudia Peña in collaborazione con Vital Voices, punta l’attenzione sulla bozza di risoluzione al voto oggi, che definisce le politiche della Repubblica Islamica «palesemente contrarie» ai diritti delle donne e al mandato della Commissione sullo status delle donne. Non è chiaro che ci siano i voti per espellere l’Iran dalla Commissione, dove ha appena iniziato il mandato quattro anni. Oltre agli Usa, Francia, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda, Australia e Guatemala hanno dichiarato il loro appoggio alla bozza. E l’Italia? Fonti diplomatiche confermano al Corriere che tra i 12 Paesi dell’Ue cha fanno parte dell’Ecosoc c’è un coordinamento in via di consolidamento per una posizione comune. Molte delle artiste e attiviste coinvolte parlano di «apartheid di genere» nella Repubblica Islamica, termine contestato invece sui social da un’altra voce della diaspora, la docente della New York University Azadeh Moaveni. «Il Sudafrica aveva l’apartheid razziale, l’Iran ha un apartheid di genere — dice Navab, nata a Isfahan da madre greca e padre persiano — Il fatto che nonostante gli ostacoli le iraniane abbiano ottenuto tantissimo, non cancella che ci sia un sistema in cui ti viene insegnato che tua madre non conta, devi chiedere il permesso a tuo padre e tu vali la metà di un uomo». L’artista Sepideh Mehraban, che vive a Cape Town, lavora su questo tema da anni. «Sin dal 1979, le iraniane hanno affrontato discriminazioni nella legge nel matrimonio, il divorzio, l’eredità, la custodia dei figli, l’abbigliamento, la musica, la libertà nei media, la grazia… ( di Viviana Mazza / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/esteri/bandane-le-donne-dell-iran-l-occhio-dedicato-quattro-liberta-all-onu-mostra-che-sposta-l-attenzione-teheran/8d021c30-7b78-11ed-a244-0877c18473f0