A quanto pare la domanda giusta per gli inquirenti non è tanto cosa ci faceva Anis Amri nel piazzale della stazione di Sesto San Giovanni la notte del 23 dicembre – questione che sembra risolta con l’ipotesi che fosse in attesa di un pullman in partenza per la Calabria – ma piuttosto chi ce lo ha mandato. Chi cioè gli ha fornito tutte le coordinate indispensabili per arrivare alle tre del mattino in piazza Primo Maggio e sapere che proprio lì avrebbe trovato, scarsamente controllati, una quantità di mezzi per raggiungere il sud Italia così come l’Albania piuttosto che la Spagna.
Per uno come Amri che in Italia aveva vissuto 4 anni ma tutti in carcere e in Sicilia, tanto che proprio dalle nostre autorità nel febbraio scorso era stato spedito un fascicolo su di lui alla Germania, informazioni di quel genere non potevano essere note: dall’esistenza di una linea sostitutiva della metropolitana che porta fino a Sesto San Giovanni dopo l’una di notte, ai pullman in partenza per l’estero dal piazzale della stazione di Sesto. Bisogna essere del luogo, averlo sperimentato, conoscere gli orari, i tragitti. Per uno come Amri, che viveva in Germania da circa un anno, era impossibile saperlo. In altre parole, il terrorista tunisino della strage di Berlino ucciso lo scorso venerdì notte, aveva un basista in Italia e probabilmente proprio a Sesto San Giovanni. O magari a Cinisello Balsamo, paesone industriale attaccato a Sesto, il luogo da cui era ripartito il camion guidato dal polacco Lukas Urban, ucciso poche ore prima che Amri schiacciasse con il suo Tir una decina di persone al mercatino di Natale di Breitscheidplatz.
Qualcuno che forse gli ha segnalato proprio quel camion e poi gli ha spiegato dove arrivare, quando arrivarci e come. Un basista “italiano” che adesso gli investigatori stanno cercando di individuare lavorando su tutti i contatti di Amri: dalle carceri, dove sono state eseguite diverse perquisizioni, a un paio di abitazioni nei pressi di Latina, controllate ieri dalla Digos, dove il giovane era stato ospitato brevemente nel 2015 e dove, si ipotizza, potrebbe aver cercato di tornare.
Fino ai 12 contatti italiani registrati sul cellulare abbandonato sul Tir della strage. Telefonino che ieri ha consentito agli inquirenti tedeschi di fermare un presunto fiancheggiatore di Anis Amri, un tunisino di 40 anni bloccato a “Berlin Tempelhof”, che avrebbe ricevuto 10 minuti prima della strage un messaggio dallo smartphone del giovane terrorista. Il quale sembra abbia mandato sia sms che messaggi vocali fino a un attimo prima di schiantarsi sulla folla e poi fuggire.
Una fuga preparata con cura, mai banale e in perfetta solitudine, come confermano anche le immagini diffuse ieri dalla polizia che riprendono Amri alla stazione di Torino Porta Nuova, dove è rimasto per due ore senza mai uscirne. Un migliaio di euro in tasca per pagamenti esclusivamente in contanti, e solo una sim telefonica promozionale acquistata in Olanda il giorno dopo la strage ma non ancora staccata dalla tessera di plastica in cui era stata venduta.
Impossibile da intercettare, Amri è riuscito così a muoversi attraverso le frontiere di Germania, Olanda, Francia e Italia in grande scioltezza. Anche la scelta di treni diversi e tutti regionali in Italia, dimostrano una conoscenza di orari e dei luoghi non comune da parte di qualcuno che in loco aveva pianificato per Amri ogni minimo spostamento. Persino il tragitto a piedi dalla Stazione Centrale lungo via Vitruvio fino a Piazzale Lima per prendere un autobus sostitutivo, rivelano l’accortezza di evitare il più possibile le telecamere della sorvegliatissima metropolitana milanese e rimandano all’idea di una scelta guidata da qualcuno che conosce il territorio molto meglio di quanto fosse possibile ad Amri. E che la sera del 23 dicembre, prima che la pattuglia della polizia fermasse per sempre la fuga del tunisino, se ne stava probabilmente ben nascosto nella ex Stalingrado d’Italia.