Pistoia, 26 lug. (askanews) – L’Italia è un Paese tradizionalmente associato alla cultura classica, alla storia, al passato. Eppure ci sono luoghi che segnano dei veri e propri poli magnetici del contemporaneo, centri di gravità del presente e del suo farsi identità, la nostra identità oggi. Uno di questi è la Fattoria di Celle a Pistoia, che accoglie la Collezione Gori, straordinaria raccolta di opere d’arte ambientale nonché spazio nel quale da oltre 40 anni gli artisti si trovano per creare lavori site specific.
Intorno alla visione e alla figura di Giuliano Gori, fondatore della Collezione, si sono raccolte storie, esperienze e soprattutto presenze che fanno della Fattoria uno spazio che somiglia a un manuale di storia dell’arte contemporanea, con la sua necessaria disomogeneità. Nell’impossibilità di raccontare tutto ciò che si trova nel parco pistoiese, possiamo scegliere alcuni momenti, sotto forma di opere. A partire dal "Labirinto" di Robert Morris, una scultura ispirata alle cattedrali toscane e alla morfologia del luogo, un percorso nel quale addentrarsi come in un racconto di Borges, per scoprire poi che il labirinto non è fisico, ma è dentro di noi.
Altra figura chiave, per provare ad avvicinarsi allo spirito della Fattoria, è quella di Robert Long, uno dei maestri assoluti della Land Art, che ha lasciato a Celle un "Cerchio d’erba" la cui bellezza va oltre il racconto o la descrizione che ne possiamo fare. E che prende un senso assoluto quando viene messo in relazione con le tipiche strutture di Long, una delle quali è ospitata nell’edificio della Fattoria, accanto a un grande intervento di Sol LeWitt, altro artista decisivo e legato ai Gori. Così come decisivo è Daniel Buren, che ha portato i suoi colori nel parco pistoiese.
Per chi ha girato il mondo inseguendo i lavori di Richard Serra – da New York al Qatar, passando per Bilbao – imbattersi in "Open Field Vertical Elevations", una serie di blocchi di pietra incastonati in un prato in discesa, è un’emozione potente che contiene in sé la forza originaria del lavoro dell’artista americano. Così come molto potente è immaginare la concezione e poi l’uso dello "Spazio teatro Celle" concepito da Beverly Pepper, in un dialogo costate tra la natura, la socialità e la performance.
Lo dicevamo all’inizio, raccontare tutto è impossibile, ma forse per concludere questo resoconto così parziale possiamo scegliere la "Formula Compound" di Dennis Oppenheim: una vera e propria rampa di lancio per fuochi artificiali collocata nel 1982 e, per espressa richiesta dell’artista, lasciata senza manutenzione, a integrarsi con la natura in modo surreale, delicato, postmoderno. Con gli occhi, comunque, puntati sempre verso il cielo e un volo che è tanto impossibile quanto possibile. E qui, nascosta, camuffata e quasi assorbita dalla natura come in un libro di Jeff Vandermeer, c’è una delle possibili lezioni forti del contemporaneo.
(Leonardo Merlini)