Yuliya è una ragazza ucraina di 26 anni affetta da ipertensione arteriosa polmonare, una malattia rara cronica e progressiva che ha come conseguenza una pressione sanguigna molto alta e resistenza vascolare che determina un progressivo affaticamento del ventricolo destro del cuore. Vuol dire che anche uno scompenso cardiaco può rivelarsi fatale.
Fino a qualche giorno fa si proteggeva dalle bombe a Kyiv in un rifugio, come tanti. Ma la paura per le sue condizioni e l’impossibilità di potersi curare era troppo grande. Per salvarsi la vita ha affrontato un viaggio che poteva esserle fatale. Ora è in Italia, a Napoli, dov’è stata presa in carico dall’ospedale Monaldi. Questo è il suo racconto a Fanpage.it tradotto da Yelena Yatsiv:
«A Kyiv avevo una camera in affitto e la mattina mi ha svegliato la mia vicina, io pensavo che fosse lei a bussare, invece poi ho scoperto che ci stavano bombardando. Poi ho deciso di uscire comunque dalla mia stanza, ho preparato la valigia di emergenza, ho fatto colazione e mentre facevo colazione sentivo il volo degli elicotteri, e appena dieci minuti più tardi ho scoperto che degli aerei stavano bombardando Gostomel. Capendo che non era sicuro rimanere nell’appartamento, perché in qualsiasi momento avrebbero potuto bombardare, e non avendo la possibilità di lasciare Kyiv perché c’era molto traffico, le persone erano ferme per delle ore per percorrere pochi chilometri, ho deciso di raggiungere un rifugio antiaereo. C’erano tantissime persone, e quando siamo già arrivati al rifugio hanno annunciato l’allarme aereo quindi siamo scesi, abbiamo aspettato che finisse ma purtroppo abbiamo dovuto rimanere e dormire lì perché l’allarme non cessava. La mattina mi hanno svegliato i rumori e le persone continuavano ad arrivare e c’era di nuovo un allarme aereo e le bombe erano cadute molto vicino, quindi le persone venivano a nascondersi. Così è trascorso anche il secondo giorno, c’erano sparatorie continue, cadevano le bombe, si sentivano dal rifugio, quindi ho deciso di trascorrere lì ancora una notte. Visto che avevo difficoltà di respirare, e c’erano molte persone, c’era molta polvere, ho sentito che era pericoloso continuare a rimanere lì e dopo la seconda notte ho deciso di tornare nel mio appartamento e la notte successiva ho dormito nel bagno. Ho trascorso alcuni giorni a casa, perché il sindaco ha annunciato un coprifuoco dalla sera del venerdì fino al lunedì mattina, per riuscire a distinguere gli occupanti così che i civili potessero invece dormire più tranquilli. Quando tutto questo era finito, sono andata in un negozio, c’erano delle code lunghissime, ho passato sei ore in fila alla cassa, ho trascorso ancora un giorno a casa e vedendo che le bombe cadono sempre più vicino, in quel momento avevo distrutto la stazione televisiva, ho deciso di raccogliere le mie cose e andare a Lviv. Il mio viaggio fino a Lviv è durato nove ore, sono riuscita a salire sul treno velocemente ma sono dovuta rimanere in piedi per nove ore. A lviv i volontari mi hanno aiutato a trovare un posto in cui potessi fermarmi gratuitamente e sono rimasta lì. Ho trascorso lì una notte e la mattina mi hanno proposto di restare o di lasciare il paese. Dalla paura, ho scelto di venire in Italia, a Napoli. Perché purtroppo non penso che ci saranno le medicine disponibili in Ucraina. Mi faceva più paura rimanere che partire. Ieri (domenica ndr) al notiziario hanno fatto vedere che stanno colpendo con i missili anche Lviv. Non vedo l’ora di poter tornare a fare il mio lavoro, amo il mio lavoro. In Ucraina ho ancora mia mamma, mia sorella e mia nonna. Al momento è difficile mettersi in contatto, però stiamo tentando di metterci in contatto almeno una volta al giorno per rassicurarle che io sto bene e per assicurarmi che anche loro stanno bene". Di Gaia Martignetti Traduzione di Yelena Yatsiv
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