Nelle organizzazioni criminali italiane, la «regola della monogamia» è ancora ritenuta l’elemento fondante per misurare valore e affidabilità degli affiliati. E ogni violazione è sufficiente a decretare una condanna a morte
Palermo, novembre 1993. Totò Riina è seduto nella gabbia dell’aula bunker dell’Ucciardone. Il presidente della corte ha appena accolto la richiesta di quello che si prefigura come un confronto epico: quello tra l’ex capo dei capi di Cosa nostra, arrestato pochi mesi prima, e il più importante pentito di mafia, quel Tommaso Buscetta cui Riina ha massacrato la famiglia. Riina ha uno scatto. Si agita, chiede urgentemente la parola. E a sorpresa, dopo averlo richiesto, rifiuta il confronto. «Non è un uomo adatto a me», dice. «Non è della mia statura, è un uomo che ha troppe amanti».
Per capire come la regola monogamica sia sempre stata il pilastro di quella mafiosa — l’ossatura su cui costruire la catena di vincoli che strozzano la vita d’ogni affiliato e d’ogni territorio egemonizzato dal loro imperio — non si può che partire da qui. Dal momento in cui, cioè, l’uomo che diede l’ordine di uccidere Falcone e Borsellino decide di accusare chi lo accusa non di essere un ciarlatano, un golpista, o un assassino (e poteva dirlo: Buscetta aveva ucciso uomini quando era giovane affiliato). No, l’accusa è quella di essere un uomo «con troppe mogli».
Per qualche strana ragione, dovuta soprattutto alle rappresentazioni americane delle organizzazioni criminali, è pensiero comune che i boss siano uomini dissoluti, donnaioli, con il vizio come nadir pronti a guidarli. Eppure nelle organizzazioni criminali italiane la monogamia è ancora l’elemento fondante per misurare valore e affidabilità degli affiliati: ogni violazione è sufficiente per decretare una condanna a morte. Le mafie come ogni potere del resto, controllando la sessualità controllano la vita, punendo a loro arbitrio i comportamenti sessuali che violano le regole, dimostrano di poter colpire su qualsiasi aspetto della vita che non obbedisce al loro dominio. A rivelare le regole è stato lo stesso Buscetta: in Cosa nostra non si entra da divorziati o figli di divorziati, né c’è posto per chi frequenta prostitute, ha «amanti», è stato iscritto al partito nazionale fascista o al PCI, fa uso di droghe, è omosessuale.
Per questo, davanti ai giudici esterrefatti, Riina – un uomo accusato di centinaia di omicidi, di aver assassinato innocenti, di aver torturato e organizzato attentati – parla con voce ferma della sua «moralità»: «E parto», dice, «dalla mia famiglia. Mio nonno è rimasto vedovo a quarant’anni e aveva cinque figli con papà, e non ha cercato più moglie. Mia madre è rimasta vedova a trentatré anni. Noi viviamo, nel nostro paese, di correttezza… ( Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/cronaca/mafia-tabu-sesso-cosi-boss-punivano-amanti/de66804a-4850-11ec-82b3-70ad85ef04dd
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