DAL NOSTRO INVIATOVYSOKOPILLIA (REGIONE DI KHERSON) — Sembrano innamorati come ragazzini.
In questa casa sono stati sposini. Qui hanno costruito nuove stanze per la famiglia che cresceva e poi hanno ospitato nuora, genero e nipotini. Tutta una vita che ancora sorride nelle rose e negli alberelli miracolosamente intatti a pochi centimetri dalle mura annerite. I missili che hanno sventrato il loro tetto e incenerito i mobili e i ricordi, quei missili che sono caduti precisi dentro quello che era la loro camera da letto, la sala, la cucina, quei missili sono stati loro a chiederli. In qualche modo, questa distruzione che ora cercano di sistemare raccogliendo forchette e coltelli piegati dal calore, l’hanno voluta coscientemente. Comincia a raccontare Serghey, la moglie corregge le date e i dettagli. «I russi sono arrivati qui in marzo. Prima hanno chiesto "in prestito" l’automobile, poi l’hanno rubata, poi ci hanno buttati fuori e hanno usato casa nostra come loro base». Serghey ci tiene a spiegare perché. «La casa era grande. Avevamo una piscina per l’estate all’aperto e la sauna con la vasca fredda per l’inverno al chiuso. Fuori c’è lo spazio per la griglia. Deve essergli sembrata un albergo».«Siamo dovuti andare nell’appartamento di mia madre, sempre qui a Vysokopillia, ma ormai non c’era più sicurezza. Io sono il direttore dei servizi municipali. Ho continuato a lavorare anche sotto occupazione perché non volevo che i cittadini soffrissero più del necessario. Chiamavano me per seppellire i morti. Andavo a prenderli sempre con la stessa bara attaccata a un carrello che trainavo con la bicicletta. Ho visto che i civili non erano morti solo per i bombardamenti. Qualcuno aveva i segni delle pallottole». È Alla a intervenire. «Non tutti i russi erano malvagi. Uno mi ha chiesto scusa. "Per favore, scusaci per quello che stiamo facendo". Ma non basta. Non può bastare chiedere scusa».«Si è sparsa la voce — riprende Serghey — che uno soprannominato "il coreano" portasse via le ragazze e le violentasse. Con noi c’era ancora nostra figlia e fino a che non siamo riusciti a farla passare dalla parte ucraina non abbiamo dormito. Poi è toccato a noi quando abbiamo trovato una sedia a rotelle per trasportare mia madre».Il «passaggio», di notte, con il primo tepore della primavera, è stata forse l’umiliazione più grande. Serghey avrebbe voluto proteggere la mamma, si aspettava compassione per una malata da gente che parlava come lui e dormiva nel suo letto. Forse è stato per quest’ultimo oltraggio che, arrivato in territorio ucraino, ne ha parlato con Alla e hanno deciso. «Sono stato io, sull’iPad del comando militare, ad indicare le coordinate esatte della nostra casa. Ho calcolato i metri dalla strada, la lunghezza del giardino, tutto». Deve averci azzeccato e anche il missile dev’essere stato… ( di Andrea Nicastro / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/esteri/coppia-kherson-che-ha-sacrificato-propria-casa-liberarla-russi/90b40226-5229-11ed-8180-68ab22e31c66