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Il post della Polizia contro la violenza sulle donne è invaso da migliaia di commenti

“Torna quando ti avranno stuprata” mi avete detto quando sono venuta a denunciare delle minacce di stupro. Con quale coraggio questo post.

Da voi mi è stato detto “Signorina è normale litigare”. Non era normale, ed era davanti ai vostri occhi.

“Non possiamo fare nulla finché non attuerà nei suoi confronti un atto fisico grave. E lei dovrà averne prova.” COLPEVOLI.

A mia suocera che denunciava l’ennesima dose di percosse avete risposto "i panni sporchi si lavano in casa”

Quando sono stata picchiata alle 20.30 di una sera di dicembre mi avete chiesto se mi sembrava il caso di passeggiare sola per le strade buie.

Quando è successo a me mi avete detto che sono cose da ragazzi che possono capitare Poi però sono stata cinque giorni in ospedale

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Questi sono solo alcuni dei commenti – ne sono stati pubblicati tantissimi – che si leggono sotto a questo post della Polizia di Stato. Un post pubblicato dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin in cui venivano riportati alcuni versi della poesia di Cristina Torre Cáceres contro la violenza sulle donne e a cui l’account della Polizia aveva aggiunto: “Ricordate, non siete sole, Insieme per l’eliminazione della violenza di genere”.

La risposta di moltissime donne ci racconta inequivocabilmente che troppo spesso chi chiede aiuto per uscire dalla violenza, non viene ascoltata. Premessa: in alcun modo stiamo dicendo che denunciare alle forze dell’ordine non serva a niente. Tutto il contrario: denunciare o aiutare a denunciare chi è vittima di violenza è importantissimo per spezzare quella ruota di abusi, impunità e poche tutele. Denunciare non è sempre semplice, ma una via d’uscita c’è e rivolgersi alle autorità chiedere aiuto, anche a livello psicologico, è importante.

Nel nostro Paese la violenza contro le donne è purtroppo radicata, pervasiva e diffusissima. Troppe volte, però, non viene denunciata. Le ragioni sono tante: c’è il timore di ritorsioni addirittura peggiori di ciò che si sta subendo, c’è la paura di non essere credute, il pensiero instillato di poter aver fatto qualcosa per provocare quella violenza, l’angoscia di non avere alternative, se la violenza avviene tra le mura di casa e chi le subisce non può contare su una propria indipendenza.

E poi può anche esserci la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine. I commenti di queste donne, di queste ragazze, al post della polizia ci parlano proprio della rabbia e dell’amarezza che hanno portato a questa sfiducia. Che non è un sentimento che nasce dal nulla: quante volte proprio chi ci avrebbe dovuto aiutare non ci ha ascoltato? Ha minimizzato quello che raccontavamo? Non ci ha creduto? Ci hanno detto che non era successo nulla di grave, che “bisticciare” è normale in una coppia, e di provare a risolvere le cose a casa?

Sono spesso i centri antiviolenza che raccolgono le testimonianze delle vittime e che ci raccontano come queste si siano sentite frustrate e poco tutelate, se non addirittura colpevolizzate, quando si sono rivolte alle forze dell’ordine
Il problema è sempre lo stesso. Siamo tutti immersi in una società che ha interiorizzato una cultura dello stupro che fatica ancora a riconoscere la differenza tra un litigio e violenza domestica, che un complimento, se detto per strada da uno sconosciuto, è una molestia, che messaggi ossessivi e continui non sono una forma di gelosia ma stalking.

Perché le cose cambino c’è bisogno di educazione, di una rivoluzione culturale che cancelli le distorsioni di una società patriarcale e tossica. Ma c’è anche bisogno di tanta formazione di quelle categorie in prima fila per la tutela delle vittime, come appunto le forze dell’ordine, ma anche medici e magistratura.

Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, sono triplicate le segnalazioni al numero nazionale antiviolenza 1522. Molte donne stanno denunciando le violenze subite, stanno chiedendo aiuto per uscire dalle situazioni di abuso. E tutti, la società intera deve porgere una mano. È il primo passo per cambiare le cose.

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