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Gli italiani e il fumo: la riduzione del danno sotto i riflettori

Milano, 18 nov. (askanews) – I fumatori in Italia sono 12,4 milioni: il 24,2% della popolazione. Il ministero della Salute stima in 93mila all’anno i decessi dipendenti dal fumo nel nostro Paese e questi dati hanno riacceso i riflettori sulla questione del fumo di sigaretta. Di questo si è discusso durante l’evento "Riduzione del rischio come strategia di salute pubblica nell’eliminazione del fumo di sigaretta", promosso da Motore Sanità con il contributo liberale di PMI Science.

"Tante persone non vogliono smettere – ha detto ad askanews Fabio Lugoboni, internista e direttore dell’Unità Dipendenze del Policlinico dell’Università di Verona – perciò queste persone hanno il diritto di ricevere prodotti meno dannosi e da parte di chi si ossuta della salute pubblica è importante che vengano proposte delle sostituzioni, come viene fatto in Gran Bretagna, dove la sigaretta elettronica, per esempio, è considerata allo stesso modo dei trattamenti farmacologici per smettere di fumare".

I Centri antifumo vengono considerati dagli specialisti ancora come una delle migliori risposte possibili, ma è un dato di fatto che sono frequentati da percentuali molto basse di fumatori e, lo dicono sempre le statistiche, chi tenta di smettere da solo molto spesso fallisce.

"È molto probabile – ha aggiunto Fabio Beatrice, primario emerito di Otorinolaringoiatria a Torino –

che le politiche generali sul tabagismo debbano essere riconsiderate alla luce dei fallimenti della mancanza di risultati di quello che attualmente noi facciamo e anche nel modo di essere ricevibili dai fumatori, che sono un gruppo abbastanza consistente e che ha difficoltà perché si trova costretto tra la dipendenza dalla nicotina e le malattie che incombono sul loro futuro".

In questo senso il dibattito si concentra sul tema della riduzione del danno, come primo passo per andare incontro ai fumatori che faticano a considerare la cessazione totale.

"Forse nelle azioni di contrasto al tabagismo – ha concluso il professor Beatrice – mancano delle idee sulle seconde linee di trattamento, cioè sulle possibilità di intervenire lì dove si fallisce con politiche di riduzione del rischio per esempio attraverso l’adozione di nuovi prodotti smoke free".

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