Torino, 16 mag. (askanews) – Due mostre diverse, che indagano sui temi di realtà e di rappresentazione. Alla Galleria Mazzoleni di Torino sono ospitate due esposizioni che si intrecciano, tra fotografia e scultura. La prima dedicata a Massimo Vitali e alle sue celebri immagini di spiagge affollate; la seconda concentrata sull’opera plastica di Salvatore Astore. "Ti ho visto" presenta la prima fotografia scattata da Vitali sul litorale di Marina di Pietrasanta nel 1994, accanto a una serie di lavori realizzati invece dopo la pandemia.
"Qui si vede proprio, al di là del lockdown, si vede come siamo cambiati in 25 anni – ha detto il fotografo ad askanews -. La nostra società e noi italiani siamo cambiati in maniera incredibile, secondo me ci sono addirittura dei colori che non ci sono più".
Le immagini, corali e in grande formato, oltre a ragionare antropologicamente sull’identità italiana, sono anche un dispositivo che ci porta a interrogarci su che cosa vediamo effettivamente quando guardiamo una fotografia, medium che si tende a considerare oggettivo, ma sappiamo che la questione non è mai così semplice. "A me interessa la realtà – ha aggiunto Massimo Vitali – e mi interessa anche capire perché la realtà a volte è così irreale, così poco conseguente al nostro pensiero".
Irreali sembrano anche alcune opere di Salvatore Astore, di cui Mazzoleni presenta la mostra "Gli occhi della scultura", per la capacità di unire potenza e leggerezza, legate dalla forma, in un certo senso sospesa, dei suoi lavori
"L’idea della leggerezza – chi ha detto lo scultore – è molto importante, perché pur essendo sculture di una certa dimensione, che hanno anche un impatto visivo, mantengono anche questa leggerezza, che potrei definire monumentale. E anche se può sembrare un ossimoro o una contraddizione in termini, in realtà è così".
E partendo dalle manifestazioni del "minimalismo organico" tipico del suo stile, Astore arriva a parlare di relazioni con l’anatomia umana e in particolare della forma che per lui rappresenta la profondità della nostra mente. "La calotta cranica – ha concluso lo scultore – è il contenitore della memoria, del nostro essere e del nostro sapere".
Insomma, entrambe le mostre ci mettono di fronte, seppur con opere diverse, a domande comuni, a partire da quella su chi siamo noi e in che modo l’arte può fornirci strumenti per capire il presente.