Firenze, 21 set. (askanews) – L’arte come percezione mobile, come dispositivo che innesca una serie di domande che riguardano direttamente lo spettatore e che molto spesso esulano dalle opere stesse. Entrare nella mostra che Palazzo Strozzi a Firenze dedica a uno degli artisti più influenti del presente, Olafur Eliasson, significa accettare una sorta di incertezza ontologica, una rinuncia a idee e preconcetti in ambito artistico, ma non solo. Perché i temi del lavoro dell’artista scandinavo sono quelli dell’ambiente, della crisi climatica, della nostra relazione con il mondo e con gli altri.
"L’esperienza – ha detto Eliasson in conferenza stampa – non è qualcosa che succede, è il mondo che ci si apre per esperirlo. L’esperienza è qualcosa che facciamo, che scegliamo di fare".
Questo aspetto è centrale per capire l’architettura di pensiero che sostiene la mostra "Nel tuo tempo", progetto espositivo sostanzialmente senza oggetti, che il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, curatore dell’esposizione, ci ha introdotto così: "È un discorso sulle nostre percezioni – ha detto ad askanews – sulle nostre sensazioni, su come interagiamo di fronte a una mostra, di fronte all’arte; su come ci rapportiamo con lo spazio, ma anche con il tempo. È un viaggio nel tempo, siamo arrivati qui dalle nostre vite, dal nostro percorso personale; Palazzo Strozzi arriva qui da 500 anni di storia e noi lo incontriamo e interagiamo grazie alle opere di Olafur Eliasson, che appunto sono declinate sul Palazzo, che è un co-creatore della mostra, una sorta di alleato dell’artista in questo caso".
Ombre di finestre, luci e acqua, colori e specchi: l’arte di Eliasson sfugge, si ritira dentro la sua stessa essenza e in certi casi sembra essere sul punto di uscire dalle sale che la contengono e provano a dialogare con essa.
"Questa mostra – ha aggiunto l’artista danese di origini islandesi – vuole stimolare differenti esperienze, accetta che qualche persona veda un certo tipo di narrazione e qualcun altra ne veda uno diverso. Alcuni ci vedranno un senso di profondità, altri qualcosa di molto piatto e due persone vicine che guardano la stessa opera potranno vedere cose diverse. L’importante però è che questo si possa fare in uno spazio di condivisione".
Ecco, un altro punto importante è quello della condivisione, dell’apertura a un pubblico più vasto di quello che frequenta abitualmente il contemporaneo, dell’accettazione di una divulgazione che avvicina avanguardia e mainstream, smussando qua e là, nell’ottica di parlare a più persone possibili. Anche di temi come la consapevolezza e la nostra coscienza ambientale.
"Siamo tutti responsabili, lo siamo quotidianamente – ha concluso Galansino -. Credo che questa mostra, con questa esperienza così personale, ci invita a considerare il nostro tempo e a pensare, nel nostro modo individuale, a quello che vediamo. Non c’è nulla di imposto, non c’è un prodotto da comprare, non c’è una visione unica. Dobbiamo cambiare le nostre percezioni, metterle in discussione, quindi anche disturbare le certezze".
Forse questa di Firenze non è la più importante delle mostre su Eliasson, ma ha il merito di credere e soprattutto di farsi interprete di queste idee di disturbo, di dubbio, di responsabilità personale. Che è biunivoca e riguarda il progetto stesso che, per esempio, comunicherà periodicamente i consumi e l’impatto ambientale della mostra.
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