“E’ finito il tempo in cui i detenuti per traffico di droga, i sicari e la criminalità organizzata dettano al governo cosa fare”. Queste parole le ha dette il capo di stato dell’Ecuador Daniel Noboa, in carica da soli due mesi. E sono parole cruciali se pensate ai disordini che stanno attraversando il Paese.
Guardate questo video (irruzione tv).
Nella più grande città dell’Ecuador, Guayaquil, un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione negli studi di TC Televisiòn, mentre era in corso il telegiornale. E’ stato tutto trasmesso in diretta: le minacce, le grida, le armi puntate contro gli ostaggi. Si può sentire uno degli aggressori dire che vuole mandare un messaggio sulle conseguenze dello “scherzare con le mafie”, ma poco dopo la polizia è arrivata, liberando gli ostaggi e arrestando 13 persone.
In generale però, tutto il Paese sta vivendo un’escalation di violenza: sono continuamente segnalati saccheggi, sparatorie, rapine, incendi, attacchi a ospedali, università e magazzini.
Per capire come siamo arrivati a questo punto, quasi al limite della guerra civile, dobbiamo tornare alla settimana scorsa, quando Noboa ha dichiarato le sue intenzioni di proporre un referendum per, tra le altre cose, rafforzare l’esercito per combattere le gang e aggravare le pene per crimini come l’omicidio, il traffico d’armi, contrabbando e distribuzione di droga.
Insomma, una politica volta a minacciare attivamente i gruppi criminali che da anni terrorizzano il Paese.
Ma arriviamo al momento principale: pochi giorno dopo che Noboa ha dichiarato le sue intenzioni, domenica, dal carcere di massima sicurezza di Guayaquil è fuggito un importante boss, se non il più importante, definito da molti “Il re del narcotraffico”, Adolfo Macias, detto “Fito”.
La sua fuga ha scatenato il caos.
La risposta di Noboa è arrivata subito: ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Paese per 60 giorni e ha firmato questo decreto che “riconosce l’esistenza di un conflitto armato interno”.
In particolare nel terzo articolo dispone la mobilitazione e l’intervento dell’esercito e della polizia in tutto il territorio nazionale – e, nel quarto, identifica questa lista di gruppi criminali come organizzazioni terroristiche che vanno “neutralizzate”.
Le gang hanno risposto violentemente, scatenando disordini nel Paese. A Quito, la capitale, e Guayaquil, scuole, negozi e uffici governativi sono stati chiusi e tutte le persone sono state mandate a casa, provocando un traffico che ha paralizzato la città. Intervistata dal NY Times, Carolina Valencia, che si trovava lì per visitare la famiglia, ha dichiarato: "C’era molta disperazione. Da quando il gangster è sparito, tutti vivono in uno stato di paura costante”.
La situazione è in costante aggiornamento. Ci sono morti, rivolte in strada e nelle carceri – e questo non sorprende. Il NY Times riporta che delle 36 carceri totali in Ecuador, un quarto è controllato dalle gang, che le hanno fatte diventare quartier generali della criminalità e centri di reclutamento.
Sono anni che i politici tentano strategie per contrastare questa situazione – ma è difficile. Alcuni che ci hanno provato, o che volevano provarci, sono stati uccisi.
Nel programma elettorale di Noboa, eletto a novembre, la lotta alle gang era tra i punti fondamentali – ed è molto emblematico che quando scelse Duràn come ultima tappa per la campagna elettorale, una delle aree più pericolose di Guayaquil, si presentò con addosso un giubbotto antiproiettile.
Infatti, poco tempo prima, il Paese aveva assistito all’omicidio di uno dei candidati, Fernando Villavicencio, in prima linea contro la lotta alla criminalità organizzata. Ma non solo. Poco prima era stato ucciso anche il sindaco di Manta e numerosi candidati locali sono stati nel mirino di attacchi armati – che hanno portato alla morte di due politici.
In un’intervista alla BBC, l’esperto di criminalità organizzata Pedro Granja ha dichiarato “Puoi far finire la guerra civile e la guerra tra Paesi. Ma porre fine al traffico di droga è assolutamente impossibile”.
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