Milano, 19 apr. (askanews) – Tra le fragilità che la pandemia ha messo in evidenza è emersa anche quella della presa in carico dei pazienti affetti da diabete da parte dei medici di medicina generale, attori importanti del processo di cura, ma, come è stato messo in evidenza in un convegno online organizzato da Motore Sanità e da Diabete Italia onlus, che si trovano ad avere "le armi spuntate".
Ne abbiamo parlato con Stefano Nervo, presidente di Diabete Italia. "In linea di principio – ha detto ad askanews – il diabete di tipo 2 ben compensato, ossia che non presenta particolari difficoltà o complicanze può essere gestito dal medico di famiglia, altrimenti occorre andare dallo specialista. Il problema è che il medico di famiglia ha le armi spuntate. E queste armi spuntate sono tutti i farmaci che devono sottostare ai piani terapeutici; i piani terapeutici non possono essere redatti dai medici di famiglia, ma dagli specialisti. Questo comporta che il medico di famiglia può usare solo pochi farmaci".
In sostanza, per il medico di famiglia non è possibile prescrivere farmaci innovativi, e questo depotenzia le possibilità di cura, creando al tempo stesso una maggiore pressione sui centri specialistici. Altri temi importanti riguardano l’organizzazione della cura del diabete, spesso diversa a livello regionale, e la gestione continua del paziente. Su questi aspetti abbiamo interpellato Gerardo Medea, responsabile della Ricerca e componente della Giunta esecutiva della Società Italiana di Medicina Generale. "Una buona organizzazione – ci ha spiegato – sia dal punto di vista della struttura ambulatoriale, sia dal punto di vista della comunicazione con il paziente può aiutare molto a ben inquadrare il soggetto e a coinvolgerlo in un buon follow-up".
Perché la cura del diabete è qualcosa che va portata avanti ogni giorno, da parte del paziente stesso, affiancato dalla struttura sanitaria, che, hanno auspicato i partecipanti all’evento di Motore Sanità, dovrebbe essere il più possibile vicina e flessibile. "Chi vive con il diabete – ha aggiunto Stefano Nervo – vive con una parte della propria testa sempre fissata lì. Se lo fa con cognizione di causa vive bene, se non ha le armi per farlo in autonomia rischia di non vivere bene".
Le "armi spuntate", poi, possono produrre anche altri effetti collaterali, come la perdita di competenze per il medico di famiglia. "E’ evidente – ha concluso Gerardo Medea – che se al medico di medicina generale non viene consentita la prescrizione di alcuni farmaci, peraltro importanti, territoriali, determinanti per il buon compenso e il controllo dei fattori di rischio, si perde un certo grado di competenza e di conoscenza"
Insomma, come è stato detto nel convegno, spesso il medico di medicina generale di fronte alla cura dei pazienti diabetici somiglia a "un pugile che combatte con le mani legate", una condizione che, per il bene di tutti, si chiede che venga al più presto sanata.