Milano, 29 nov. (askanews) – Un cancello di metallo, una bandiera dell’Europa nella quale le stelle sono unite dal filo spinato e una performer che, su una sedia a dondolo, legge ‘Le origini del totalitarismo’ di Hannah Arendt. Si entra così nella mostra che il Padiglione di arte contemporanea di Milano dedica a Tania Bruguera, artista cubana che rientra nel novero di coloro i quali con la propria pratica definiscono la direzione che prenderà il contemporaneo. ‘La verità anche a scapito del mondo’ è il titolo affascinante dell’esposizione, che riprende sempre la Arendt, ma ci porta a pensare alla nostra stessa relazione con una parola difficile come ‘verità’.
‘Io credo che l’artista abbia un impegno nei confronti della verità – ha detto ad askanews Tania Bruguera -. L’arte deve guardare sempre in faccia la verità, anche se è scomoda, difficile e ti ferisce conoscerla. Per questo credo che l’arte sopravviva al tempo e diventi universale, perché si mette di fronte alla verità, senza paura, e la mostra a tutti’.
Di fronte a tutti, negli anni, l’artista ha messo il suo corpo, il suo attivismo, ha messo il pericolo e ha coinvolto le comunità, in una costellazione di arte partecipativa che diventa a tutti gli effetti azione. Ma che è anche, come molte delle sale del PAC stanno a testimoniare, un confronto continuo con il potere, la violenza e la volontà di sopraffazione. Le luci potentissime che si accendono e spengono a ritmi alterni; la stanza in cui si piange insieme a degli sconosciuti, ma nella quale per entrare si viene prima timbrati con un numero progressivo; una bandiera fatta con i capelli della gente di Cuba. Il mondo di Tania Bruguera ritorna, grazie alle performance, ma anche ai semplici spazi che le ospitano, come una continua ricomposizione di quello che sappiamo e non sappiamo, abbiamo e non abbiamo avuto la sorte o il coraggio di vedere. Così quella in cui ci imbattiamo è una verità, ma è anche arte.
‘Sono i fatti storici visti dalla prospettiva di un’artista – ha aggiunto Bruguera – possono essere fatti vissuti in prima persona, cose che mi hanno riguardata direttamente, oppure cose studiate sui libri. Però in questa società della post-verità, delle fake news, confondiamo le opinioni con la verità e sono cose diverse’.
La mostra attiva molte sensazioni personali, scandaglia anche dentro di noi, nei nostri limiti e nelle nostre paure. E gravita intorno ad alcuni punti chiave, come la stanza numero 5, dove nel buio si intravede una copia della scritta posta all’ingresso del campo di Auschwitz: ‘Il lavoro rende liberi’, probabilmente il simbolo ultimo della catastrofe novecentesca. Su questo simbolo un uomo interviene con una smerigliatrice: forse sta facendo a pezzi la scritta, forse la sta riparando. In questa ambiguità drammatica l’arte prende il sopravvento in modo totale e doloroso, diventando consapevolezza. ‘Per me la storia – ha detto ancora l’artista – è una guida, morale, etica ed è qualcosa a cui guardo quando non capisco quello che succede oggi’.
La mostra è potente e lo diventa sempre di più a mano a mano che, stando al suo interno, si decodifica una possibile grammatica del racconto, la sua ‘verità’ per l’appunto, che a ciascuno può risuonare in maniere diverse. E contribuisce a riconfermare anche la dimensione del PAC e del progetto curatoriale di Diego Sileo, congiungendosi idealmente con altre mostre come quelle di Regina Galindo o di Teresa Margolles. Mentre per il Padiglione, anche nelle parole del direttore Domenico Piraina, si tratta di un modo di muoversi che consolida la sua stessa natura.
‘Il PAC – ci ha detto – è un istituto che deve essere in relazione con la contemporaneità, con il nostro tempo e se deve fare arte contemporanea deve parlare dell’oggi. I temi di questa mostra mi sembra che lo dimostrino in maniera piuttosto evidente’.
Così come evidente è la rilevanza del lavoro di Tania Bruguera, senza paura davanti allo specchio dell’umano.
(Leonardo Merlini)