Novanta giorni fa le autorità di Kiev parlavano con gioia della ritirata russa, ma oggi – circa 100 morti e 250 feriti civili dopo, con i 333.000 abitanti originari ridotti a meno di 50.000 e l’economia in ginocchio – la rappresaglia russa vanifica le speranze di una ricostruzione e normalizzazione veloci
A questo punto i russi sull’altra sponda del fiume Dnipro
sparano a ogni ora e con tutte le armi che hanno a disposizione. Non serve molto, sono sufficienti una pistola, il Kalashnikov d’ordinanza, l’artiglieria e i razzi Grad costruiti mezzo secolo fa. I mortai portatili da 60 millimetri per i duelli tra trincee sembrano l’arma preferita: tra le case di Kherson dalla parte occidentale tenuta dagli ucraini e quella orientale sulla costa ancora occupata dai russi resta solo il corso d’acqua scura che in certi punti è largo meno di un chilometro. Sparano a casaccio, di notte e di giorno, colpiscono senza criterio: edifici abbandonati o ancora abitati, cliniche e stazioni della polizia, centro e periferia, industrie e pollai, parchi pubblici, strade e scuole. Novanta giorni fa le autorità di Kiev parlavano con gioia della ritirata russa, ma oggi – circa 100 morti e 250 feriti civili dopo, con i 333.000 abitanti originari ridotti a meno di 50.000 e l’economia in ginocchio – la rappresaglia russa vanifica le speranze di una ricostruzione e normalizzazione veloci. Venire a Kherson significa cogliere il senso di questa guerra che un anno dopo il suo inizio non solo non finisce, ma addirittura s’intensifica e incancrenisce. Lo prova, tra i tanti segnali, l’appello lanciato ieri dal governo americano ai propri cittadini di lasciare «immediatamente» il territorio della Federazione russa a causa di questa fase difficile del conflitto in Ucraina, mentre la sfida per il controllo di Bakhmut nel Donbass si fa ancora più serrata (da ieri è vietato raggiungerla per giornalisti e organizzazioni umanitarie), e del rischio di «arresti arbitrari» o abusi da parte delle autorità.
«I servizi di sicurezza russi hanno arrestato cittadini
americani sulla base di accuse fittizie, sono state negate le garanzie legali, ci sono casi di condanne pronunciate nel corso di processi segreti senza che venissero presentate prove credibili e gli imputati potessero difendersi», si legge in una nota diffusa dall’ambasciata americana a Mosca. Dal Cremlino notano che non è certo la prima volta che da Washington vengono questi generi di appelli. La più recente fu in settembre, quando Putin annunciò la mobilitazione parziale. La differenza rispetto ad allora è però che adesso l’«operazione speciale» voluta da Putin si è indurita nella retorica della sua propaganda controllata dall’intelligence militare, che insiste sul tasto della «grande guerra patriottica» contro la Nato.
Oggi a Bruxelles i membri dell’Alleanza atlantica si riuniscono per esaminare la… ( Lorenzo Cremonesi, inviato a Kherson / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/esteri/dentro-kherson-citta-liberata-tre-mesi-fa-ma-sotto-fuoco-continuo-russi/65506b2a-ac5a-11ed-90fc-0a28becedb3f