A Roma, tra occupazione e affari sulle spalle dei rifugiati. Decine di denunce ma il business illegale va avanti. «Siamo nelle mani di strozzini, persone che non hanno nessun diritto su questi spazi ma se non paghi ti ritrovi ad affrontare pressioni degne delle più consumate organizzazioni del racket delle case occupate»
«Se non paghi quella è la porta». Queste sono le regole nonostante le stanze siano loculi di due metri per due e il palazzo uno stabile occupato dimenticato da Dio. A Via Collatina 385 a Roma funziona così ed è tutto abusivo, compreso l’affitto, un pizzo bello e buono in cambio di un tetto sopra la testa e muri di cartongesso tra i quali trovare un concetto di casa. Otto piani di cui due seminterrati, un alveare di stanze e parabole TV abbarbicate alle finestre, in questo palazzo vivono circa 500 migranti del Corno D’Africa. Sono quasi tutti rifugiati politici, in tasca un regolare permesso di soggiorno ma evidentemente senza un salario sufficiente ad aspirare in qualcosa di meglio. Dopo anni di lavori e lavoretti è arrivata la pandemia che si è mangiata persino quelli e quindi addio posto letto. Ogni stanza costa dai 100 ai 200 euro. Se non ce la fai a pagare te ne devi andare o, nel migliore dei casi, traslocare nel seminterrato ormai trasformato in un dormitorio di fortuna.
A quanto pare la storia va avanti da tempo. Il palazzo, ex sede Inpdap, viene occupato nel 2004 da un gruppo di richiedenti asilo aiutati da alcuni attivisti della Lotta per la Casa e già nel 2011 un rapporto della Caritas segnalava che l’edificio era oggetto di una vera e propria attività immobiliare messa in piedi dai primi arrivati. Gli spazi vengono affittati o addirittura venduti anche a 5 o 10.000 euro.
Un business garantito da un commitee interno, un comitato di palazzo formato da circa 14 membri mesi preposto a garantire l’ordine e ad assicurarsi che i «proprietari», i primi migranti che avevano occupato l’immobile e che ormai vivono fuori Roma o addirittura all’estero, ricevano la loro retta mensile tramite intermediari in loco. Non solo, il commitee gestisce anche l’affitto di una serie di spazi trasformati in «attività commerciali». Seicento euro al mese arrivano dal barbiere, altrettanti dal gestore del bazar al piano terra, ben 1500 euro arrivano invece dal responsabile del ristorante, conosciuto nella comunità eritrea ed etiope per fare una delle migliori njera di Roma.
Le stanze inizialmente sono qualche centinaio ma negli anni si moltiplicano. Se si vogliono massimizzare i guadagni occorre ridurre gli spazi al minimo e così via via, le stanze diventano delle celle con un letto, un lavandino e niente più. Il tutto però viene ceduto agli ultimi arrivati a caro prezzo mentre la proprietà, quella vera, un fondo immobiliare gestito da Dea Capital Real Estate SGR S.P.A., stritolata in un cortocircuito burocratico nelle mani… ( Francesca Ronchin / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/cronaca/dentro-palazzo-alveare-occupato-rifugiati-dove-stanza-illegale-due-metri-due-costa-duecento-euro-mese/7e9e95e6-71fd-11eb-893c-20b27ab3b588
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