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Cosa sta succedendo a Rafah e perché si rischia una vera e propria carneficina

Tutti gli occhi su Rafah, all eyes on Rafah

C’è questa frase che continua a girare sui social. Cosa significa? È un invito a non distogliere l’attenzione da quello che sta succedendo a Rafah e, soprattutto, dalla catastrofe che potrebbe accadere a breve.

Rafah si trova qui, nell’estremo sud della Striscia di Gaza, al confine con l’Egitto. In questo momento è un gigantesco campo profughi. Dall’inizio del conflitto, da immediatamente dopo il 7 ottobre, Israele ha spesso intimato alla popolazione palestinese di evacuare verso sud, mentre raid e bombardamenti si concentravano nel Nord della Striscia: quasi un milione e mezzo di palestinesi è così arrivato in questa lingua di terra: persone che in questi mesi hanno perso tutto, le loro case sono state bombardate, tanti loro familiari sono rimasti uccisi nel conflitto scoppiato dopo il 7 ottobre. Ora sono arrivati a Rafah e letteralmente non c’è più alcun luogo verso cui scappare.

Ma Tel Aviv ha annunciato un’operazione di terra che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. E che si prospetta come una vera e propria carneficina: il governo israeliano ha fatto qualche vago annuncio su dei piani di evacuazione, ma la verità è che queste persone – lo ripetiamo, quasi un milione e mezzo di persone – non ha più alcun luogo verso cui scappare. Sono letteralmente in trappola.

Secondo Israele ci sarebbero ancora quattro battaglioni di Hamas nascosti a Rafah, e per questo ha annunciato l’invasione di terra, per smantellare del tutto l’organizzazione. Le IDF, le forze di difesa israeliane, hanno già compiuto un blitz a Rafah, annunciando di aver liberato due ostaggi. Quella stessa notte, sotto i bombardamenti, sarebbero morti almeno cento civili palestinesi.

E ne moriranno molti di più, se le operazioni militari israeliane si estenderanno.

Tanti dei profughi che sono arrivati a Rafah sono feriti, ci sono anche moltissimi bambini. Vivono in mezzo alle macerie, cercando aiuto nelle sedi dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, che però è in estrema difficoltà dopo il taglio dei fondi da parte di alcuni paesi occidentali – italia compresa – per le accuse ad alcuni dipendenti di complicità con gli attacchi del 7 ottobre. Che possibilità hanno queste persone di mettersi in salvo? Dove possono scappare?

Nessun luogo a Gaza è sicuro finché continueranno i bombardamenti sui civili, non lo è Rafah e non lo è il Nord della striscia. E provare a entrare in Egitto non è un’alternativa.

Non solo Il Cairo ha fatto sapere che non può e non intende accogliere un milione e mezzo di profughi, ma ha già schierato parte dell’esercito al confine, temendo incursioni israeliane nelle operazioni a Rafah.
Il conflitto in Medio Oriente rischia di allargarsi ora più che mai: l’Egitto ha avvertito che, se davvero Israele darà il via a un’operazione di terra, potrebbe rompere gli accordi di Camp David, cioè quegli accordi firmati dai due Paesi nel 1978 che normalizzarono le relazioni e portarono un briciolo di stabilità nella regione.

Dalla nascita dello stato di Israele, nel 1948, si sono susseguiti decenni di violenze e conflitti con gli Stati arabi circostanti. l’Egitto è stato il primo, proprio con gli accordi di Camp David, a riconoscere l’esistenza dello stato di Israele e a fare un passo per la normalizzazione delle relazioni tra lo stato ebraico e il mondo arabo.

Ora tutto rischia di degenerare, e la vita di un milione e mezzo di persone è in pericolo. Le Nazioni Unite hanno detto che l’eventualità di un’invasione di terra a Rafah è “terrificante”. L’Alto commissario per gli affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell ha avvertito dell’imminente “catastrofe”. Anche Joe Biden ha chiamato Netanyahu dicendogli che nessuna operazione di terra può essere condotta senza un piano per la sicurezza dei civili.

Ma Netanyahu continua a sostenere che Israele andrà avanti, fino alla “vittoria totale”.

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