Questa opera dietro di me, a prima vista vista, sembra solo un’anguria. E… effettivamente lo è. Ma per i palestinesi è un simbolo di identità e resistenza da più di 40 anni.
L’anguria ha gli stessi colori della bandiera palestinese: rossa, verde, nera e bianca. E così sui social la si usa per evitare di essere oscurati dall’algoritmo.
Dall’inizio della guerra sempre più utenti hanno segnalato di essere stati bannati o bloccati per aver condiviso contenuti pro Palestina. E così hanno cominciato a usare l’algospeak, un linguaggio creato ad hoc per aggirare l’algoritmo. Ad esempio, scrivere G4z4 con i 4 al posto delle A; così che l’algoritmo non riconosca la parola.
Ma l’algospeak è usato in molti altri casi: scrivere “non vivo” anziché “morto” o “SA”, da sexual assault, anziché “violenza sessuale” – insomma, in tutti quei casi dove si utilizzano parole o contenuti ritenuti sensibili dalla piattaforma.
Un altro strumento, oltre a sostituire lettere con numeri e asterischi, sono le emoji. E in questo caso, l’emoji dell’anguria. Ma non solo. Su TikTok è stato creato un filtro con delle angurie, ad oggi usato da quasi un milione di persone, con cui è stato chiesto di interagire il più possibile. L’obiettivo di chi lo ha creato è monetizzarlo per poi destinare i proventi per gli aiuti umanitari a Gaza.
Ma, in realtà, l’idea dell’anguria come simbolo di resistenza non nasce sui social.. ma nel 1980.
Prima, però, dobbiamo fare un passo indietro.
Nel ‘67, durante la Guerra dei Sei giorni, le autorità israeliane vietano ai palestinesi raduni ed eventi politici, criminalizzando qualsiasi forma di protesta. A questo si aggiunge il divieto di esporre bandiere o simboli palestinesi.
Per aggirare il divieto i palestinesi cominciano a utilizzare i colori nazionali nelle loro opere d’arte per continuare a esprimere la loro lotta e identità.
E qui arriviamo al 1980. L’artista Sliman Mansour racconta al The National che in quell’anno le autorità israeliane chiudono la Galleria 79 a Ramallah, impedendo l’esposizione delle opere sue e di altri artisti, come Issam Badrl. Sliman ricorda “Ci hanno detto che la bandiera palestinese era vietata, e che anche i colori lo erano”. E quando Issam chiede all’ufficiale “E se dipingessi un fiore rosso, verde, nero e bianco?”, lui risponde “Sarà confiscato. Anche se dipingi un’anguria, sarà confiscata”.
Dopo questa risposta l’anguria diventa un simbolo nazionale di identità, resistenza. Compare sui social, nelle mostre, nei cartelli dei manifestanti e… anche su dei taxi a Tel Aviv.
Infatti a gennaio alla polizia israeliana viene dato l’ordine di confiscare le bandiere palestinesi. In tutta risposta, a giugno, Zazim, un’organizzazione pacifista arabo-israeliano, lancia una campagna di protesta attaccando su 16 taxi attivi a Tel Aviv, l’immagine di un’anguria con su scritto “Questa non è una bandiera Palestinese”.
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