Milano, 13 ago. (askanews) – Al cuore della 23esima Triennale Internazionale c’è la mostra tematica curata dall’astrofisica Ersilia Vaudo, che racconta del cosmo e delle sue profondità inimmaginabili, ma anche della polvere, della matematica, del primo dipinto in cui è raffigurata la Via Lattea e del suono della Terra. "Unknown Unknowns" è un’esposizione dedicata al mistero di ciò che non sappiamo neppure di non sapere.
"Questa non conoscenza – ha detto la curatrice ad Askanews – diventa un enorme stimolo, la voglia di un’avventura a cui lasciarsi andare. L’ignoto è un invito, è il piacere di una prospettiva che si allarga, qualcosa di nuovo entra in questa prospettiva e in qualche modo si mette in atto una trasformazione. Quindi il senso è abbandonarsi a ciò che non si conosce e a farsi accogliere da ciò che non si conosce, quindi non stabilendo una distanza".
Eppure la distanza è ovunque, sia nei confronti del piccolissimo, sia in quello del lontanissimo. Ma viene superata anche grazie al dialogo tra le discipline, al confronto fecondo tra i diversi linguaggi della scienza e dell’arte, che trovano una sintesi che spesso, come nel caso delle sfere d’argilla di Bosco Sodi o nella collisione tra galassie di Refik Anadol, è anche commovente.
"Siamo felici – ha aggiunto il presidente della Triennale di Milano Stefano Boeri – perché questo è davvero un arcipelago, ci sono voci diverse, da punti di vista diversi, con un tema comune che oggi è davvero un tema emergente: la sensazione che l’universo sconosciuto fosse molto più ampio di quanto pensavamo fino a qualche anno fa, la pandemia per esempio ci ha fatto conoscere un organismo sconosciuto che ha avuto effetti sconosciuti e di cui non conosciamo le prospettive; ma non solo: l’universo ci ha fatto vedere delle profondità e dimensioni sconosciute; stiamo camminando su un pianeta che non conosciamo: ne conosciamo 12 km su 12mila. È un tema fortissimo e siamo molto orgogliosi perché la Triennale lo affronta come prima al mondo".
Il percorso delle mostra milanese è avvolgente, fatto di continue piccole epifanie, che scendono dall’alto come le voci di Antonio Damasio o di Carlo Rovelli nelle Listening Chambers, le camere d’ascolto. Perché il punto essenziale è avere la lungimiranza di lasciarci permeare da questi grandi misteri. "Io direi – ha concluso Ersilia Vaudo – il mistero come appartenenza, i nostro dialogare con l’ignoto è limitato anche dalla nostra sensoriali: i nostri cinque sensi sono quello che sono per permetterci di evolverci, non per permetterci di comprendere la realtà intorno a noi. Ma questa è una realtà, che anche se ci prescinde, ci contiene e ci appartiene".
La realtà, appunto. Forse il più grande dei misteri che ci troviamo a fronteggiare nella vita e in questa 23esima Triennale, che è costruita intorno ad altre due mostre principali: "La tradizione del nuovo", curata dal direttore del Museo del Design italiano, Marco Sammicheli, e "Mondo reale" della Fondation Cartier di Parigi, da anni partner della Triennale. E da tutto il progetto, che comprende anche le partecipazioni internazionali, arriva un messaggio molto chiaro: dobbiamo attraversare e abitare questi misteri senza angoscia, come un’opportunità.