Chi erano Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, due vite al servizio dei più deboli in Congo

di solobuonumore

Chi erano Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, due vite al servizio dei più deboli in Congo

È stato ucciso in quel luogo ostile dove lavorava per la pace. Luca Attanasio, uno degli ambasciatori più giovani del mondo e padre di tre bimbe piccole, nonostante i suoi 44 anni era già apprezzato in tutto il mondo per il suo altruismo, per la dedizione e il suo spirito di sacrificio a sostegno delle persone in difficoltà, tanto che solo pochi mesi fa aveva ricevuto con orgoglio il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace “Per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli e per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari”.
Il nostro ambasciatore nella Repubblica Democratica del Congo questa mattina viaggiava in un convoglio di delegati del PAM, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alle famiglie che non riescono a trovare o produrre cibo.
Stava attraversando in auto la zona dei monti Virunga, fra Congo, Ruanda e Uganda, quando lui e Vittorio Iacovacci, carabiniere di soli 30 anni nato Sonnino, in provincia di Latina, sono stati sorpresi da una raffica di colpi d’arma da fuoco.
A niente sono serviti i disperati tentativi di salvarli, nell’ospedale di Goma; loro due e l’autista che guidava la vettura sono rimasti uccisi durante il tentativo di sequestro.
Luca Attanasio era originario della provincia di Milano e aveva sposato Zakia Seddiki, una donna forte che, come lui, viveva per aiutare gli altri; Zakia infatti, col suo appoggio, aveva fondato l’associazione umanitaria “Mama Sofia”, che opera nelle aree più difficili del Congo salvando la vita ogni anno a centinaia di bambini e giovani madri. Attanasio si era laureato nel 2001 alla Bocconi in economia aziendale, col massimo dei voti e dopo diverse esperienze nelle ambasciate in Svizzera, in Marocco e in Nigeria aveva preso le redini della missione a Kinshasa, nel Congo, dove, dal 2017, si occupava di numerosi progetti umanitari, al fianco dei circa mille cittadini italiani attualmente residenti nel Paese del Centro Africa.
Anche in quest’ultimo anno, reso ancora più difficile dalla pandemia, lui aveva continuato a lavorare senza risparmiarsi nei luoghi dove quella al Covid non è l’unica guerra a seminare la paura. Diviso tra i suoi impegni di padre e diplomatico, il suo cuore era sempre rivolto all’Italia e agli italiani che lui, tanto quanto Iacovacci, hanno rappresentato con orgoglio fino alla fine, a costo della loro stessa vita.

 

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