Roma, 13 apr. (askanews) – Un’indagine su strategie e ruolo del linguaggio, applicata però agli oggetti e alle loro potenzialità, anche segrete. La Fondazione Memmo di Roma ospita la mostra "Quasi", prima personale in Italia dell’artista argentina Amalia Pica, che presenta una serie di sculture ispirate a una particolare figura retorica, scoperta grazie a un grande scrittore cileno.
"Tutta la mostra – ha detto l’artista ad askanews – si basa su una figura del discorso, la catacresi, ossia una metafora che è diventata così di uso comune nella vita di tutti i giorni che non la percepiamo più come tale, come per esempio dire ‘la linguetta di una scarpa’, anche se la scarpa non ha lingua. La prima volta che mi sono imbattuta in questa definizione è stato nel romanzo ‘I detective selvaggi’ di Roberto Bolano".
In un ribaltamento della semiotica tra gambe del tavolo o braccia della sedia che nasce dalla combinazione di elementi che ricorda il collage e la postura del Dadaismo, l’artista approda nel territorio affascinante di quel "quasi", zona liminale dove le possibilità si amplificano – come per esempio nei "quasi object" di Philippe Parreno – e ci portano altrove. A curare la mostra romana, con la consueta brillante visione, c’è Francesco Stocchi. "Amalia Pica – ci ha detto – negli anni ha sviluppato un linguaggio molto personale, nel quale forme e colori si rincorrono. La cosa che ho trovato interessante per quella mostra è stato sviluppare un corpus di opere inedite che riprendessero la serie delle Catacresi, come ragionamenti sulle dinamiche della comunicazione".
Dinamiche che, essendo di soglia, contengono sempre una componente imponderabile. "Sono molto interessata anche agli oggetti quando noi non ci siamo – ha aggiunto Amalia Pica – in questa sorta di possibilità animistica che un oggetto prenda vita quando non lo vediamo, quindi una specie di vita segreta degli oggetti. Tutte queste cose hanno una storia e io li ho scelti perché sono usati in alcune formule come il collo della bottiglia o la cruna dell’ago. Ma mi piace anche il fatto che siano oggetti che portano in loro la storia della civilizzazione, la ‘cultura materiale’ degli antropologi".
E poi c’è l’elemento narrativo, che è alla base del progetto, ma che ne assume anche altre forme, dirette in questo caso. "Forme e testo – ha concluso Stocchi – diventato un tutt’uno per dare vita a una mostra che in realtà è un po’ anche una pièce teatrale".
Che presenta ventuno sculture-personaggi che interagiscono tra loro e abiteranno in modo singolare lo spazio della Fondazione Memmo fino al 16 ottobre.
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